La Nuova Sardegna

Troppe ferite ancora aperte Mai più veleni in Sardegna

di Antonio Ledà
Troppe ferite ancora aperte Mai più veleni in Sardegna

Migliaia di ettari, dal nord al sud dell’isola, aspettano da anni le bonifiche

07 gennaio 2021
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SASSARI. La Sardegna ha già dato. Parlare di scorie nucleari in un paradiso che ancora paga i conti del fallimento del sogno industriale, del peso delle servitù militari e dei danni di un turismo fatto di seconde case e di cemento equivale a buttare sale su ferite ancora aperte e doloranti. Il coro dei no che si è levato dai quattro angoli dell’isola dopo la pubblicazione della carta nazionale delle aree idonee a ospitare il sito unico nazionale dei rifiuti radioattivi, pubblicato dalla Sogin, la dice lunga sulle preoccupazioni di una terra che di tutto ha bisogno tranne che di nuovi veleni. Eppure nei progetti della società pubblica incaricata di gestire lo stoccaggio delle scorie nucleari la Sardegna è presente con un elenco di ben 14 siti distribuiti tra l’Oristanese e il medio Campidano. È vero che a vantaggio della regione gioca, una volta tanto, la difficoltà di trasportare via mare migliaia di fusti altamente pericolosi, ma è anche vero che l’isola è sicura dal punto di vista sismico, è scarsamente popolata e conta poco nelle stanze romane dove sarà presa la decisione definitiva. Il coro di “no” rischia di arrivare molto flebile dall’altra parte del Tirreno e le promesse della politica (nella fattispecie dei due sottosegretari allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde, e alla Difesa, Giulio Calvisi) non fugano del tutto i dubbi. I due parlamentari sardi hanno assicurato che la scelta su dove collocare la maxi pattumiera nucleare «terrà conto della posizione della Regione e delle amministrazioni locali» ma la storia - anche quella recente - ci ha abituato a coltivare la diffidenza. Del resto una mappa ragionata della Sardegna post industriale - da Porto Torres a Sarroch, dalla Maddalena alle miniere dimesse del Sulcis – mostra in modo inequivocabile come accanto a larghi tratti in cui la natura domina ancora incontrastata ci siano ci siano aree ad altissimo tasso di inquinamento. Terre avvelenate, che aspettano bonifiche promesse da governi di ogni colore e rimaste, in gran parte, inevase. Vediamo i casi più emblematici.

Porto Torres. Nella zona industriale della cittadina turritana ci sono diverse centinaia di ettari di terreni altamente inquinati, oltre alla collina di Minciaredda meglio conosciuta come “la collina dei veleni”. Era previsto un investimento iniziale di 150 milioni per le bonifiche poi cresciuto negli anni ma rimasto intrappolato nei laccioli della burocrazia. Nelle aree da “ripulire” si è provveduto solo ad alcuni accantieramenti, agli allacci elettrici e a piccoli lavori propedeutici alla bonifica vera e propria. Intanto Porto Torres resta in vetta alle classifiche nazionali della disoccupazione.

Ottana. Di bonifiche nella piana si parla ormai da 20 anni, da quando, dopo le dismissioni degli impianti da parte di Enichem e Montefibre, cominciarono interminabili conferenze dei servizi per individuare le aree inquinate e stabilire un percorso di risanamento. Anche in questo caso si è fatto poco e l'area industriale, nonostante abbia ospitato per 40 anni industrie pesanti, ha perfino subito l’affronto di essere esclusa dall’elenco dei “Sin”, i siti di interesse nazionale per le bonifiche. Oggi Ottana è una immensa cattedrale nel deserto dove si muore per i veleni rilasciati nel terreno e nell’aria.

Sulcis. Anche qui si parla di un sogno trasformatosi in un incubo. La regione ha costituito uno dei maggiori bacini minerari del vecchio continente ma oggi è una delle aree industriali più inquinate d'Europa. Al bacino storico del Guspinese si è aggiunta, nell'ultimo decennio, la vicenda della miniera dell'oro di Furtei, l’ex Klondike sardo, dove l'inquinamento è ancora più grave. Nei siti dismessi di Montevecchio e di Ingurtosu, ci sono oltre 100 chilometri quadrati dove sono state sversate altissime concentrazioni di piombo, zinco, rame e altri metalli pesanti.

Capo Teulada e Quirra. Nell'area militare a 50 chilomentri da Cagliari c'è il poligono Delta, una penisola di 400 ettari usata per le esercitazioni militari, tanto inquinato da essere interdetto anche al personale della base e giudicato non bonificabile dalle autorità militari. Discorso che vale anche per il poligono di Perdasdefogu, a Quirra.

La Maddalena. Nell’arcipelago più bello del mondo c’è una macchia nera che fa a pugni con il verde smeraldo del mare. È l’ex arsenale militare, un vasto tratto di costa tra la cittadina che dà il nome all’isola e Caprera utilizzato, senza badare troppo all’ambiente, per le manutenzioni dei mezzi della Marina. L’area era stata parzialmente riconvertita per ospitare il G8 del 2009, poi spostato all’Aquila, ma da allora non si è più fatto nulla. Gli edifici (ristrutturati da un’archistar come Stefano Boeri) sono più decadenti di prima e il mare nasconde veleni che aspettano ancora di essere recuperati. A gennaio dello scorso anno il presidente della Regione Solinas ha ottenuto il via libera dal Governo per la riperimetrazione e la bonifica di tutta l’area ma i lavori, complice anche il Covid, non sono mai partiti. Prima di parlare di nuove scorie (per giunta nucleari) non sarebbe il caso di riprendere in mano questi vecchi dossier?

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