La Nuova Sardegna

Bimbi ostaggio dei social, il garante frena TikTok

di Claudio Zoccheddu
Bimbi ostaggio dei social, il garante frena TikTok

Blocco degli utenti non verificati. Allarme nell’isola: «Online già a otto anni»

23 gennaio 2021
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SASSARI. Vengono chiamati social network ma per gli utenti più giovani sono come giungle digitali. Capita di entrarci e a volte capita anche di non uscirne. È successo a Palermo, dove una bimba di 10 anni è morta dopo aver accettato una sfida che circolava su uno dei social preferiti dai giovanissimi: TikTok. E ieri sera è arrivato il primo stop digitale proprio per il social nato in Cina nel 2016 che in meno di 5 anni è entrato nella vita di milioni di adolescenti e preadolescenti. Il Garante per la protezione dei dati personali “ha disposto nei confronti di Tik Tok il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l'età anagrafica”. Lo ha annunciato una nota dell'Autorità che “ha deciso di intervenire in via d’urgenza a seguito della terribile vicenda di Palermo”. «Il Garante – ricorda la stessa Autorità – già a dicembre aveva contestato a TikTok una serie di violazioni: scarsa attenzione alla tutela dei minori; facilità con la quale è aggirabile il divieto, previsto dalla stessa piattaforma, di iscriversi per i minori sotto i 13 anni; poca trasparenza e chiarezza nelle informazioni rese agli utenti; uso di impostazioni predefinite non rispettose della privacy».

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Una decisione arrivata dopo una tragedia immane, incomprensibile a chi non ha familiarità con il mondo digitale ma per nulla estranea al microcosmo in cui si muove ogni famiglia. È capitato a Palermo ma potrebbe succedere a Sassari, a Cagliari e i qualsiasi paese dell’isola. Soprattutto in un momento in cui l’orizzonte di molti ragazzi non supera lo schermo di uno smartphone, o di un tablet, ormai completamente sdoganati e considerati strumenti di apprendimento al pari dei libri. Al punto che l’accesso a questi dispositivi spesso non ha più limiti di tempo, nemmeno per i bimbi. Le regole di accesso sono limitate ai maggiori di 13 anni, ma aggirarle è uno scherzo perché non sono controllate dagli stessi social. Infatti capita che ci siano “influencer” giovanissimi capaci di interagire con migliaia di altri utenti di tutte le età, magari trattando temi da adulti o seguendo le mode del momento, come i balletti (TikTok vive di questo), o giocando in streaming, ovvero facendo assistere alla propria partita on line altri utenti in grado di interagire con il giocatore tramite chat. Ad un occhio distratto potrebbero sembrare passatempi innocenti ma non è così. Perché la Rete non è un libro e dietro un account insospettabile potrebbe celarsi chiunque, compresi i malintenzionati.

Il fenomeno nell’isola. I limiti geografici non appartengono al web e se milioni di ragazzini ballano su TikTok o chattano su Telegram, è probabile che il fenomeno faccia proseliti ovunque. I dati raccolti nell’isola dall’osservatorio Cybercrime smascherano una realtà a cui si fatica a credere: «Il 15 per cento dei bambini tra gli 8 e 10 anni usa Telegram, una sorta di WhatsApp ma senza alcun filtro in cui è impossibile risalire ai creatori di determinati contenuti, che possono essere violenti o pedopornografici – spiega lo psicologo Luca Pisano –. La percentuale arriva fino al 30 nella fascia d’età tra gli 11 e i 13 anni. Su Telegram possono scaricare videogiochi piratati oppure serie Tv destinate ad un pubblico adulto che possono avere effetti nocivi sui più piccoli. Telegram è l’anticamera di TikTok , anche se il il social cinese mette a disposizione filtri come il parental control». Per impostare le limitazioni, però, bisogna conoscerle. E questo è una rarità: «Lo chiamiamo “abbandono digitale” e purtroppo accade sempre più spesso: i genitori affidano smartphone o tablet ai figli anche se piccolissimi, una prassi ormai sdoganata dalla didattica a distanza, e poi non controllano quello che accade. I ragazzi vengono abbandonati in “parcheggi digitali”in cui rischiano di incontrare persone pericolose, oppure accettano sfide mortali come accaduto a Palermo. Ma c’è anche chi si sfoga con atti di bullismo, violenze verbali che possono trasformarsi in incontri faccia a faccia». Non è raro che giocando su Discord, o su Twitch, un affronto virtuale diventi reale e sfoci in una rissa.

La regole di sicurezza. Ad eccezione di quelle (poche) imposte dai social, sostanzialmente non esistono: «Se il Governo affrontasse il problema – continua Pisano – si potrebbero imporre sistemi di identificazione degli utenti e algoritmi in grado di contrastare la diffusione di materiale inadeguato. Oppure si potrebbe lavorare sul patentino digitale, un attestato degli studi di educazione di digitale che si fanno a scuola che permettono, ad esempio, si distinguere il mondo virtuale da quello reale, perché molti bambini non ne capiscono la differenza e pensano che quello che accede online non abbia ripercussioni, oppure che siano minime. Non è così». Oppure, sarebbe sufficiente un po’ di controllo da parte dei genitori: «Che dovrebbero imporre limiti, informarsi, curiosare nella vita digitale dei figli, comprendere i meccanismi dei social. Invece accade il contrario – conclude Pisano –. Spesso negano che i loro bambini possano essere in pericolo, non comprendono quello che accade e sono vittime di una pericolosa forma di egoismo che mette a rischio la salute psicologica dei figli».
 

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