La Nuova Sardegna

Il governo deve rivedere il piano vaccini

di Matteo Guidelli
Il governo deve rivedere il piano vaccini

Conte furioso per i ritardi e i tagli nelle consegne: «Sono inaccettabili». Azioni legali pronte a partire già da domani

24 gennaio 2021
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ROMA. Dopo i ritardi di Pfizer, quelli di AstraZeneca: il governo è costretto a rimettere mano al piano vaccini e a rivedere gli obiettivi, con il premier Giuseppe Conte che attacca le case farmaceutiche e definisce «inaccettabili» i tagli annunciati da AstraZeneca. I ritardi «costituiscono gravi violazioni contrattuali che producono danni enormi all'Italia, il nostro piano è stato elaborato sulla base di impegni contrattuali liberamente assunti» e per questo, dice, «ricorreremo a tutti gli strumenti e a tutte le iniziative legali per rivendicarne il rispetto». Già domani il governo si muoverà contro Pfizer su tre canali: una diffida per inadempimento e un esposto ai pm per potenziale danno alla salute, entrambi da presentare nel nostro paese, e una richiesta a nome del governo e delle Regioni al foro di Bruxelles per inadempimento. Anche l'Ue vuole vederci chiaro sui ritardi e ha convocato l'azienda inglese domani, indicando due obiettivi: avere un programma chiaro che consenta di pianificare le consegne e accelerare la distribuzione. Ma il governo deve fare i conti anche con altre due problemi sul tavolo: l'allarme che arriva da diversi centri vaccinali regionali, tra cui Lombardia, Sicilia ed Emilia Romagna, sulla mancanza di siringhe di precisione, e la necessità di evitare che le varianti del Covid facciano esplodere i contagi anche in Italia come già avvenuto in diversi paesi europei. Sul primo punto arriva la smentita di Arcuri: «È falso», sono state distribuite meno siringhe «per la banale ragione che Pfizer ci ha inviato un numero inferiore di fiale di vaccino». Sul rischio varianti, invece, la questione è più complessa tanto che l'esecutivo, lo dice il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza, sta valutando la possibilità di un «innalzamento delle misure». Il piano vaccini, dunque. Il governo, con il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia, ha convocato le regioni assieme a Speranza e Arcuri per aggiornare quello presentato dal ministro della Salute al Parlamento il 2 dicembre. Le prime dosi di Astrazeneca, se il vaccino avrà il via libera dell'Ema, arriveranno il 15 febbraio, poi ancora il 28 e il 15 marzo. In base al piano iniziale, nel primo trimestre del 2021 sarebbero dovute arrivare in Italia 28 milioni e 269mila dosi. Una quantità che, ormai è evidente a tutti, non sarà rispettata: entro la fine di marzo le dosi a disposizione saranno meno di 15 milioni, dunque circa la metà di quanto previsto. Astrazeneca ha infatti confermato la riduzione a causa di un problema alla produzione, un taglio del 60% che, hanno spiegato sia Conte sia Arcuri, per l'Italia significherebbe passare da 8 milioni a 3,4 milioni di dosi. Alle quali si dovrebbero aggiungere gli 8,7 milioni di Pfizer (se l'azienda americana tornerà alle forniture iniziali) e il milione e 300mila di Moderna. Una situazione che ha fatto suggerire al governatore del Veneto Zaia, presente all'incontro, che «qualora vi sia un via libera di Ema ai vaccini russo o cinese si possa ricorrere anche a questa soluzione». Si tratta dunque di rivedere gli obiettivi, come conferma il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli: «la riduzione della capacità produttiva di AstraZeneca richiederà la rimodulazione della campagna». Si dovrebbe riuscire a centrare l'impegno prioritario, vaccinare entro marzo tutti gli operatori sanitari e sociosanitari, ospiti e personale delle Rsa, over 80 e pazienti fragili, oncologici, cardiologici e ematologici. In tutto quasi 7 milioni di italiani. Ma non le altre categorie. C'è poi da tener conto anche di un altro elemento. Quando l'Ema darà il via libera al vaccino di AstraZeneca, sottolinea ancora Locatelli, bisognerà vedere «che tipo di approvazione verrà data». Se il vaccino verrà consigliato per la popolazione sotto i 55 anni, l'Italia dovrà individuare nuovi criteri.

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