La Nuova Sardegna

Il governo decreta la fine della Rwm

di Antonello Palmas
Il governo decreta la fine della Rwm

No definitivo all’export di ordigni usati per la guerra in Yemen. Esultano le associazioni, ma ci sono 200 posti a rischio

30 gennaio 2021
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SASSARI. Con quello che viene definito dai pacifisti “un atto di portata storica” il Governo ha deciso di revocare, non solo sospendere, le autorizzazioni in corso per l'esportazione di missili e bombe d'aereo verso Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. Bombe prodotte dalla fabbrica Rwm di Domusnovas, della tedesca Rheinmetall, che ora vede “minata” definitivamente la sua stessa sopravvivenza. Ordigni con cui il regime di Riad ha bombardato lo Yemen creando morte e distruzione e una situazione umanitaria di cui il mondo si disinteressa, continuando come se nulla fosse a mantenere gli stessi rapporti amichevoli con i sauditi per motivi di real politik. Da una parte c’è l’esultanza delle Ong e del Comitato di riconversione Rwm che iniziò la battaglia, dall’altra la disperazione di centinaia di lavoratori.

«Il provvedimento – spiegano le Ong – riguarda almeno 6 diverse autorizzazioni già sospese con decisione presa a luglio 2019 tra le quali la licenza MAE 45560 decisa verso l'Arabia Saudita nel 2016 durante il Governo Renzi (relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK per un valore di 411 milioni di euro). La revoca decisa dall'Esecutivo per questa sola licenza andrà a cancellare la fornitura di oltre 12.700 ordigni». «Una decisione – dicono Amnesty International, Comitato Riconversione Rwm, Fondazione Finanza etica, Medici senza frontiere, Movimento Focolari, Oxfam, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children, European center for constitutional and human rights e Mwatana for human rights – che permette all'Italia di essere più autorevole sul piano diplomatico nella richiesta di una soluzione politica al conflitto». Esultano i senatori del M5s della commissione esteri: «Una bellissima notizia, un importante gesto di civiltà il cui merito va al ministro Di Maio, al sottosegretario Di Stefano, al M5s che lo chiede da anni e alle campagne di pressione della società civile. Ci auguriamo che i futuri governi non rivedano una saggia decisione».

Arnaldo Scarpa e Cinzia Guaita, portavoce del Comitato riconversione: «Il legame di sangue tra Sardegna e Yemen è finalmente spezzato e aumentano le prospettive di pace per quel paese martoriato. Si apre, per le comunità territoriali occupate dalla fabbrica, ogni possibilità di riconversione pacifica e sostenibile per l’ambiente». L’ultima idea: farne un grande centro di produzione casearia.

Se per molti la decisione è sacrosanta, c’è chi deve fare i conti con il problema del lavoro, come Filctem-Cgil: «La situazione dei circa 200 operatori, tra diretti e indiretti, si fa sempre più critica. Attualmente la produzione di armi è praticamente ferma. I 90 lavoratori diretti sono in cassa integrazione, mentre erano già stati tagliati altri 80 contratti a termine, non rinnovati a fine estate 2020». «Rispettiamo sempre le decisioni di tipo governativo, basate anche su questioni etiche ma si continuano ad affrontare i problemi a metà – dice il segretario territoriale Emanuele Madeddu – Chiediamo quali sono le scelte che vengono messe in campo per tutelare il lavoro e i lavoratori». Un problema serissimo, quello del lavoro, ma non per questo ci si può convincere che l’isola possa dormire sonni tranquilli con le mani macchiate di sangue.

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