La Nuova Sardegna

Province, otto sono troppe: ora serve una riforma seria

di LUCA ROJCH
Province, otto sono troppe: ora serve una riforma seria

Un eterno ritorno dell’uguale che dà un sapore antico alla legge che sta per entrare in aula - L'EDITORIALE

11 febbraio 2021
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Rottamate come inutile simbolo della Repubblica degli sprechi. Cancellate dalla furia iconoclasta che voleva tagliare tutti i costi della democrazia, ora le Province si prendono la loro dolce rivincita. Sì, perché gli enti inutili si sono rivelati indispensabili. In nome della spending review ci si era convinti che un tratto di penna avrebbe eliminato i costi delle Province e il buco nel cuore del sistema si sarebbe rattoppato con un po’ di italica arte dell’approssimazione. E con il nastro adesivo della buona volontà. Ma scuole, verde e strade, i tre ambiti di cui si cura la Provincia, non sembrano avere colto il senso rivoluzionario dell’abbattimento di questi enti anello di congiunzione tra Comuni e Regione. E senza manutenzione sono progressivamente andate in pezzi. Lo Stato ha provato a cancellarle per via referendaria, ma è andata male. Ha provato a ucciderle per asfissia contabile. Ma ha solo peggiorato lo stato di scuole e strade. Senza risorse i resti delle Province non sono riuscite a svolgere il loro compito. La Sardegna per una volta era stata alla testa di questa ondata rivoluzionaria. Le Province le aveva cancellate per prima. Un referendum regionale nel 2012 le aveva polverizzate. Grazie a un’iniziativa portata avanti proprio dal centrodestra. Sì, lo stesso centrodestra che oggi le vuole far rinascere, ma rischia di cadere di nuovo in errore.

La maggioranza sostiene che le Province sono indispensabili, irrinunciabili. Ma quattro sono poca cosa. Ne servono almeno sei. Più due città metropolitane. Ma la spending review? Può anche finire in soffitta. È fuori moda. La giunta Solinas in questi anni ha mostrato la sua vocazione miracolistica alla moltiplicazione. Le Asl sono lievitate da una a otto. I funzionari al vertice della Regione cresceranno di una quarantina di unità con un solo colpo di legge. Tutto sommato con otto Province la giunta si è tenuta bassa.

Ma come si è arrivati da zero a sei, più due città metropolitane in mezza legislatura? Un misto di realismo della politica e campanilismo. Impossibile pensare di eliminare gli enti intermedi che di fatto tengono aperte le scuole cadenti e rattoppano strade che si sfarinano, anche con pochi spiccioli in cassa. Ma era complicato pensare a una legge che le restituisse senza accontentare tutti i caminetti elettorali. Ogni consigliere regionale deve avere una Provincia da sventolare ai suoi sostenitori. E se la Gallura ha storia e numeri per poter pretendere una sua autonomia, ma va evitato il microcampanilismo del doppio capoluogo, è più difficile sostenere la necessità della Provincia Ogliastra. Tutto il territorio nel 2016 aveva 57mila abitanti, più o meno quanto un quartiere di Cagliari. Per tenere insieme la sua maggioranza il governatore è stato costretto a moltiplicare le Province. Così in breve tempo si è passati dalla necessità di tagliare i costi della politica, alla necessità di aumentare i posti per la politica.

Un eterno ritorno dell’uguale che dà un sapore antico alla legge che sta per entrare in aula. Ma un testo normativo forse era indispensabile per mettere ordine nella giungla di enti intermedi ipotizzati dalla riforma Erriu. Una legge condizionata dalle contraddittorie indicazioni del governo.

Questa riforma rischia di nascere debole, zoppa e già vecchia. L’idea di ridare potere e gambe alle Province è il riconoscimento della loro indispensabilità. Ma farne sei e metterci sopra anche due città metropolitane rischia di trasformarle in una fabbrica di burocrazia e poltrone. E poi servirebbe un po’ di coraggio in più. I consigli dovrebbero essere scelti con un’elezione diretta e non con una sorta di cooptazione da parte dei sindaci.

Una scelta di campo da parte della politica che per una volta dovrebbe cercare di parlare alla testa della gente e non più alla pancia. Complicato in questi tempi in cui il dominio dialettico è dell’accademia della ruspa.

 

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