La Nuova Sardegna

«Vaccini figli della ricerca bisogna investire di più»

Silvia Sanna
«Vaccini figli della ricerca bisogna investire di più»

Micaela Morelli, prorettrice a Cagliari: «Grazie agli studi sconfiggeremo il Covid». Le donne nella scienza: «Sono in aumento ma ancora penalizzate nella carriera» 

11 febbraio 2021
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SASSARI. Alle studentesse, tante, che la ascolteranno dai loro tablet o smartphone, dirà quanto sia essenziale la ricerca e come le società più moderne ed evolute diano enorme valore all’attività di chi ogni giorno lavora per sconfiggere malattie e individuare nuove terapie. L’obiettivo degli scienziati e dei ricercatori è il più nobile che esista ma in Italia non gode dell’attenzione - e delle risorse sufficienti - per ottenere risultati sempre più importanti. Anche il Covid ha insegnato poco «nonostante il vaccino ottenuto in tempi così rapidi sia il frutto di anni e anni di studio in laboratorio e di sperimentazioni su virus simili, come la Sars o la Mers». Dirà anche questo Micaela Morelli, 67 anni, prorettrice alla Ricerca scientifica dell’Università di Cagliari, neurobiologa e professore ordinario di Farmacologia, alla “Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza”, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per promuovere l’uguaglianza di genere, parità di accesso e partecipazione nella scienza.

La scienza e le donne. La professoressa Morelli appena pochi mesi fa ha conquistato un riconoscimento prestigioso: il Premio Donna di scienza 2020, assegnato anche alla matematica cagliaritana Raffaella Mulas. La prima cosa che ci si chiede è perché sia necessario istituire una Giornata e un premio per le scienziate e non anche per i colleghi uomini: si tratta di un segnale evidente di una disparità di genere che è necessario continuare a sottolineare sino a quando non sarà superata. Ma per fortuna le distanze si sono accorciate, assicura il prorettore. «Quello della scienza non un mondo prevalentemente maschile ma in tante attività di ricerca è verissimo che le donne sono presenti in numero inferiore rispetto agli uomini». Il motivo è solo uno: «L’impossibilità, in molti casi, di conciliare un impegno totalizzante come quello della ricerca con la famiglia, con la cura dei figli e con altre incombenze che gravano prevalentemente sulle spalle delle donne. La ricerca non ha orari, non guarda il calendario, non importa se è sabato o domenica, se è giorno o notte fonda: per questo le donne hanno maggiore difficoltà a portare avanti una carriera scientifica. Ma il contributo è essenziale ed è cresciuto in maniera incredibile in un tempo brevissimo». La neurobiologa ricorda che le donne hanno avuto accesso alla carriera universitaria solo alla fine dell’Ottocento: «Poco più di un secolo fa, e pensiamo a dove sono arrivate e come si sono affermate. Questo dimostra che le donne hanno grandi doti, che il tempo della scienza lo impiegano molto bene, grazie a qualità come la creatività, la capacità organizzativa, il pensiero razionale. E soprattutto l’immenso amore verso la scoperta, perché fare ricerca significa andare incontro all’ignoto, ottenere spesso risultati opposti rispetto a quelli immaginati e mettere da parte tutta una serie di dati e conoscenze che potranno servire nell’immediato e in futuro».

La ricerca al femminile. Qualche mese fa, quando fu isolato il virus del Sars-Cov-2 allo Spallanzani, la notizia ebbe una diffusione giustamente enorme perché rappresentava il primo passo nella battaglia contro un nemico non più sconosciuto. Ma ad accrescere la sensazione di meraviglia fu anche il fatto che a firmare la scoperta era stato un team di donne: 3 ricercatrici, tutte del Sud, una delle quali precaria. Perché stupirsi? «Non me lo spiego – dice Micaela Morelli – è incredibile che a qualcuno possa sembrare anomalo che le donne ottengano risultati importanti. Per fortuna accade sempre più di rado anche perché sono tante quelle che si distinguono ogni giorno». Di alcune di loro la Morelli parlerà oggi alla Giornata della scienza: «Citerò la fisica Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, Rita Levi Montalcini – il mio modello, la mia guida, perché mi occupo di malattie del sistema nervoso – la virologa Ilaria Capua impegnata sul fronte del Covid, e i due premi Nobel Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, le ricercatrici che hanno messo a punto la tecnica che taglia-incolla il Dna e permette di riscrivere il codice della vita, eliminando quelle parti o sezioni all’origine di malattie genetiche».

Il Covid. Quello della ricerca, dice Micaela Morelli, assomiglia a un viaggio sulle montagne russe segnato da picchi di interesse e cali d’attenzione. «Con il Covid la ricerca è tornata in primissimo piano: l’impegno per sconfiggere il virus e la pandemia è massimo. Ma questa attenzione non è accompagnata da un analogo atteggiamento verso la ricerca di base: è doloroso dire che i fondi sono rimasti gli stessi, si continua a investire poco nei vari ambiti della scienza, quelli che da cui arrivano le risposte che tutti attendiamo». Come è successo con i vaccini del Covid: «Ne abbiamo tanti dopo pochi mesi grazie alla ricerca di base. Lo studio su virus simili e le sperimentazioni sui topi geneticamente modificati hanno permesso di introdurre un enzima, Ace2, che poi è risultato essere la porta d’ingresso del virus nell’organismo umano. Se questo studio non ci fosse stato, se nel tempo la ricerca scientifica non avesse analizzato i virus con caratteristiche simili, non avremmo avuto questo serbatoio di nozioni da cui attingere, vere e proprie armi per combattere questa e altre malattie con cui in futuro potremmo avere a che fare».

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