La Nuova Sardegna

Abbanoa, bilancio respinto Racugno sfiduciato da tutti

di Umberto Aime
Abbanoa, bilancio respinto Racugno sfiduciato da tutti

Regione e sindaci: il presidente se ne vada. Ma lui resiste: vediamo come finirà

17 febbraio 2021
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CAGLIARI. Il presidente di Abbanoa, Gabriele Racugno, è rimasto col cerino in mano. Non solo nella stanza dei bottoni, gli altri due consiglieri di amministrazione – Fernando Ferri e Franco Piga – si sono dimessi settimane fa, ma ora anche nell’assemblea dei soci. Con un richiesta formale, la Regione l’ha disarcionato: vuole, pretende, che lasci la poltrona. Quando? Subito. Anche se lui – 77 anni, accademico di lungo corso, seppure in pensione, avvocato stimato, ma dal carattere spigoloso – ha risposto picche. Macché via libera al bilancio 2019, che alla fine sarà bocciato dal 99 per cento dei soci, la Regione più 350 Comuni. Perché, neanche tanto all’improvviso, la bufera era da giorni nell’aria, l’ultima assemblea s’è trasformata in un’arena. In un plateale «tutti contro uno», a tratti anche drammatica, ma che non ha scalfito le convinzioni del presidente-professore: «Convocate un’altra riunione. Cacciatemi da questo posto per una giusta causa, se la trovate, e poi vedrò se quella causa è giusta».

Lo scontro. Sin dall’inizio dell’assemblea, forte del suo immenso potere, oggi da sola vale il 70 per cento delle azioni, la Regione ha lasciato a Racugno appena il tempo di dire «Abbanoa resta comunque una società sana», poi è scattata con l’atto d’accusa. È stato un impeachment in diretta. «Presidente, dopo appena otto mesi è già venuto meno il rapporto di fiducia che c’era con lei. Basta con questa sua gestione superficiale, personalistica e dispotica. Non possiamo accettare, tanto meno votare, questo suo bilancio che oggi lei vuole chiudere in perdita – 9 milioni – mentre prima del suo arrivo era in attivo e anche di molto. La invito ad andar via», sono state le prime parole taglienti dell’assessore agli enti locali Quirico Sanna, delegato dal governatore Christian Solinas. Poi sono stati i sindaci di Cagliari, Paolo Truzzu, Sassari, Nanni Campus, e Busachi, Gianni Orrù, a rincarare la dose. Uno dopo l’altro si sono schierati: «Professore – rivolti a Racugno – non è più gradito a chi rappresenta i cittadini. A giugno, è vero, l’abbiamo votata, ma adesso non ha più il nostro sostegno. Quest’ultima perdita non può essere scaricata sui soci e tanto meno sui cittadini, anche se lei sostiene che finirà per essere sterilizzata da Abbanoa. Non continui a essere protagonista di un evidente fallimento istituzionale. Sia umile, si dimetta. Non è certo lei il proprietario, lo sono i sardi». In un attimo contro il presidente, lo stesso acclamato invece a giugno, ha preso posizione anche uno dei dimissionari, Franco Piga: «Mai lei ci ha permesso di lavorare bene». Poi è stata la volta di Andrea Soddu, sindaco di Nuoro: «Niente di personale, professore. Ma siamo di fronte a un evidente atto politico, e neanche lei può opporsi alla volontà popolare». Infine, a ruota, il collegio dei sindaci e la commissione di controllo: «Ha depennato dalle entrate, gli incassi dei conguagli regolatori (ovvero le bollette con cui tempo fa erano state adeguate le tariffe) ed è solo per questo che abbiamo chiuso in perdita. È stata una sua scelta e noi non la condividiamo».

La replica. Resosi conto di essere stato sconfessato e soprattutto capito che ormai il centrodestra al governo della Regione, dopo averlo voluto a gran voce, gli aveva invece voltato le spalle, il professore non s’è scomposto. La sua arringa è stata immediata e persino più pungente delle requisitorie. «Mi ha nominato Solinas, a giugno, poi però da allora non mi ha più ricevuto. Nonostante diverse volte abbia sollecitato un incontro urgente alla sua segreteria. Mi sento abbandonato. Ma sia chiaro: io non mi dimetterò, perché non c’è nulla di illegittimo in quello che ho fatto. Dovrete revocarmi l’incarico. Fatelo e vedremo come finirà».

I retroscena e il futuro. La verità è che dopo la morte, a dicembre, dell’allora assessore ai lavori pubblici, Roberto Frongia, la larga intesa nel centrodestra di eleggere la triade Racugno-Ferri-Piga, s’è sciolta quasi subito come neve al sole. Dall’iniziale entusiasmo, in fretta la maggioranza è passata a una battaglia in campo aperto contro gli ex pupilli. Racugno, va detto, ci ha messo anche del suo con la richiesta di essere pagato per l’incarico (2.500 euro al mese) nonostante fosse in pensione. Ha scatenato addirittura una diatriba giudiziaria, Corte dei conti compresa, sfociata nel sequestro degli emolumenti e in una causa che vede il presidente contrapposto alla stessa Abbanoa. Sta di fatto che da 24 ore la società è nel caos. Come finirà? Presto la Regione dovrebbe sollecitare una nuova assemblea, con stavolta però un unico punto all’ordine del giorno: la revoca dell’incarico a Racugno, per poi proporre un’altra terna di consiglieri. Anche se lui, il professore, ha fatto già sapere: «Ricordatevi, io non sono un politico, ma uomo di diritto e continuerò a seguire sempre e solo quelle regole». L’uno contro tutti, quindi, è appena agli inizi e di sicuro le prossime puntate saranno ancora più nere, misteriose e cupe.

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