La Nuova Sardegna

Due vittime e mille dubbi: «Riaprite le indagini sul naufragio»

di Luigi Soriga
Due vittime e mille dubbi: «Riaprite le indagini sul naufragio»

La famiglia dell’urologo Di Maria mette in discussione le conclusioni di medico legale e inquirenti  «Giovanni è morto sul colpo, non poteva essere alla guida. Una nuova autopsia ci darà ragione»

24 febbraio 2021
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SASSARI. C’era qualcosa di strano, di sospeso, nel mare. Era il 15 settembre e c’era silenzio, solo la carezza delle onde sugli scogli. Anche il villaggio Rasciada di Lu Bagnu è rispettoso di quell’attimo di intimità. Ornella si immerge. «Volevo sentire l’abbraccio di Giovanni. L’acqua era come vellutata, era diversa. Ho nuotato fino al punto in cui la barca era affondata. Sono rimasta immobile, sulla superficie, trattenendo il respiro. Ci siamo salutati». Un mese prima, la notte tra venerdì 10 e sabato 11 agosto del 2018, il semicabinato Quick Silver da 6 metri e 40 con a bordo Pier Tonio Spanu, dentista di Sennori di 70 anni, e Giovanni Di Maria, urologo sassarese di 69 è andato a sbattere contro degli scogli affioranti, la carena si è squarciata a prua e a poppa e la barca si è inabissata in pochi minuti. Il corpo di Spanu è stato ritrovato a riva, quello di Di Maria sott’acqua, all’interno della cabina. Ciò che è accaduto in questo spicchio di mare attorno alle 22 è ancora a mollo nel mistero. C’è una causa civile in corso, c’è il risarcimento dell’assicurazione, e c’è da stabilire una questione cruciale: chi era alla guida? Perché la polizza copre solo il terzo trasportato, non chi era al timone. Per lui anzi c’è l’accusa di omicidio colposo e anche l’acquisizione del patrimonio, presente e futuro. «Ho sempre tenuto un profilo basso, silenzio nel dolore. Un po’ come avrebbe fatto Giovanni, che era l’incarnazione della riservatezza. Ma ora stanno toccando la cosa più preziosa che mi resta, cioè il suo ricordo. E chi l’ha conosciuto lo sa bene: era un galantuomo, uno che si spendeva per gli altri, e se quel giorno si trovava in quella barca era solo per aiutare un amico, e non per portarlo alla morte». L’avvocato Michele Montesoro del Foro di Roma e il generale Garofano, perito dell’indagine, hanno chiesto la riesumazione del corpo di Di Maria per una nuova autopsia. «Mio marito non era al timone quel giorno. Giovanni è morto perché, quando la barca ha impattato sugli scogli, è stato sbalzato in avanti e ha sbattuto la testa. L’autopsia evidenzierà la rottura del rachide».

La relazione depositata dal medico legale Lorenzoni per ora ha disegnato uno scenario diverso: l’esame sui corpi dice niente traumi, niente perdita di sensi, e morte per annegamento. E questo particolare è fondamentale per ridisegnare da zero la dinamica. Significa che l’imbarcazione è finita sugli scogli a velocità ridotta. Basterebbe un urto a più di 5 nodi per far sbalzare in avanti chi è a bordo e a procurargli, nella migliori delle ipotesi, delle contusioni. «Per amore di Giovanni riesco a parlare di lui come davanti a un tavolo dell’autopsia. Quando lo hanno recuperato dentro il cabinato, mio marito aveva un evidente ematoma nel collo, perdeva sangue dalle orecchie e dal naso. E questo è compatibile con la rottura del rachide. Lui sapeva nuotare, non avrebbe avuto difficoltà a raggiungere la riva. Deve essere morto sul colpo, ed è rimasto lì ad affondare assieme alla barca. E poi non era gonfio come chi ha bevuto ed è annegato». C’è anche un altro dettaglio che infittisce il mistero. «Quel giorno di settembre, dopo il bagno, siamo andati a parlare al villaggio. E una testimone che la mattina del recupero dei corpi era in spiaggia, mi ha accennato di un carabiniere che teneva un salvagente in mano. Ma agli atti del processo non risulta un simile reperto, che cambierebbe la dinamica dell’incidente. Infatti il testimone mi ha detto che il salvagente, l’unico che mancava dal gavone, è stato ritrovato vicino al corpo di Spanu. Ora mi chiedo: la ricostruzione finora dice che Giovanni fosse alla guida e che l’amico dopo l’urto sia stato sbalzato in acqua. Ma come fa allora ad afferrare al volo un salvagente?». Quel giubbotto, però, sembra scomparso. «Con mio figlio abbiamo visionato nel dettaglio foto e filmati, finché non lo abbiamo trovato. Nel servizio del Tg1 si vede il carabiniere con in mano il salvagente. Ma nella sua relazione si è dimenticato di menzionare un reperto così fondamentale». Dice: «Quando l'imbarcazione è stata recuperata, dalle foto si vede che la marcia era in folle. Qualcuno, dopo, l’urto, ha tirato la leva indietro. Tutte azioni che mio marito, se la nuova autopsia confermerà la rottura del collo, non avrebbe potuto compiere. E chi è alla guida, con le mani sul timone, difficilmente potrà subire una lesione così devastante da causare un morte repentina. Ma poi c’è un altro aspetto che mi dà la certezza che Giovanni non fosse alla guida: la sua indole. Era una persona prudente, e di notte non si sarebbe mai avventurato a condurre una imbarcazione non sua. Era un iper preciso, non ha mai avuto un incidente in auto, mai perso le chiavi di casa, era riflessivo, mai impulsivo. Era uno che nella sua agenda annotava qualunque cosa accadesse, quanti calamari pescava quel giorno. Alle 21,15 mi ha chiamato, è stata l’ultima volta che l’ho sentito. Mi ha detto: stai tranquilla, stiamo rientrando in porto. Non avrebbe mai fatto quella telefonata, col cellulare in mano, mentre guidava».

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