La Nuova Sardegna

La “Singer” di Maria Lai donata alla fondazione

di Giusy Ferreli
La “Singer” di Maria Lai donata alla fondazione

La pronipote Federica consegna la macchina da cucire dell’artista ogliastrina «Mi piace l’idea che sia custodita negli spazi della bellissima “Stazione dell’arte”»

24 febbraio 2021
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ULASSAI. I fili di Maria Lai cuciono percorsi arditi verso l’infinito. Ma se il suo lascito artistico al Comune di Ulassai rimane al centro di una controversia giudiziaria su diritti d’autore tra la nipote Maria Sofia Pisu e la Fondazione guidata dal sindaco Gianluigi Serra, controversia che troverà un punto fermo nell’udienza del 4 marzo quando i giudici della sezione civile del tribunale di Cagliari entreranno nel merito delle rivendicazioni dell’erede, le donazioni di alcuni componenti della famiglia al museo Stazione dell’arte intrecciano ancora passato e futuro nel ricordo della grande artista ogliastrina. Come considerare, altrimenti, la macchina da cucire di Maria Lai che la pronipote, Federica Pisu, consegnerà a breve al direttore del museo, Davide Mariani? Con questo strumento, che si aggiunge ad altre tre donazioni, Maria Lai ha imbastito i suoi sogni e dato corpo alle sue visioni. Con la sua Singer, con la quale realizzò le lavagne, le geografie, i libri cuciti e tanto altro, ha materializzato la sua arte . «Mi piace l’idea – dice a questo riguardo Federica – che la macchina da cucire sia ad Ulassai, nel bellissimo spazio della Stazione dell’arte, così da condividerla con i viaggiatori in transito che al museo fanno tappa. Simbolicamente è come se, con la sua macchina da cucire, la sua arte fosse aperta al futuro, ancora non finita e a disposizione di tutti quelli che, come diceva, scelgono di essere “pane che lievita”. Di simboli si nutre l’arte e di insegnamenti la vita. La pronipote Federica, nipote della sorella Giuliana, questi insegnamenti li custodisce come reliquie. «Il mio ricordo più prezioso risale a quando ero bambina. Dopo un acquazzone mi aveva portato a fare una passeggiata in campagna, a Cardedu, in cerca di pozzanghere. Il gioco – racconta Federica – funzionava così: con le mani si muoveva il fango per intorbidire l’acqua poi si stava ferme e chine ad aspettare che l’acqua tornasse limpida. Poi da quello specchio si guardava il cielo e, a volte, i riflessi color arcobaleno. Ancora adesso che ho cinquant’anni quando vedo una pozzanghera ci guardo dentro per cercare il cielo». Se per la bimba (fermata nel bellissimo scatto della fotografa Marianne Sin–Pfalzer) il gioco è divertimento, per la donna è un esercizio importante in cui passano alcuni contenuti cari alla poetica di Maria Lai: la concretezza della realtà che dà la materia, il proiettarsi verso l’infinito, il valore dell’attesa. C’è un altro insegnamento: l’arte come dono. Negli ultimi anni della sua vita quando Federica le chiedeva quali tra le sue tante opere considerasse il suo capolavoro lei rispondeva: «Soltanto due: Legarsi alla montagna e la Stazione dell’arte che per me è come una figlia, ma sarà il tempo a dirlo. Dobbiamo aspettare 50 anni». In famiglia non si parlava d’arte ma di vita. Ed è la rappresentazione fotografica della quotidianità nel “buen retiro” di Cardedu, dove Maria Lai aveva scelto di vivere e lavorare dopo il ritorno da Roma, al centro di una ulteriore donazione da parte di un’altra pronipote, Maria Diana. Si tratta di tredici scatti risalenti al 2001 che ritraggono la sua casa e il suo laboratorio nella casa del paese ogliastrino. «Ho deciso di donare queste fotografie per raccontare con le immagini la dimensione più familiare di zia Lola. Ci sono anche le fotografie dello studio che purtroppo non c’è più», sottolinea Maria Diana. Tra le fotografie degli ambienti dove Maria Lai ha trascorso l’ultima parte della sua vita c’è anche quella della sua camera da letto, con la stessa macchina da cucire che verrà sistemata nel museo di Ulassai. Come l'acrilico, la ceramica e il vestito da papavero donati dagli altri famigliari.

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