La Nuova Sardegna

L’esperto: un mercato dalle enormi potenzialità

L’esperto: un mercato dalle enormi potenzialità

Battacone: «Nel post-Psa spazi per produzioni da banco ma anche per gli insaccati di alta gamma»

26 febbraio 2021
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SASSARI. «Le potenzialità della Sardegna nel settore delle carni di suino? Enormi»: a dirlo è Gianni Battacone, docente di sunicoltura del dipartimento di Agraria dell’università di Sassari, massimo esperto sull’argomento nell’isola. «Certo c’è di mezzo la peste suina – dice – Ricordo di aver partecipato a un incontro a Cagliari nel 2019 in cui si parlava di ultimo miglio da percorrere, evidentemente è un miglio lungo… La mia paura: con l’Ue abbiamo preso un impegno sulla fiducia che avremmo chiuso il percorso in termini virtuosi. E a oggi l’ultimo caso di Psa in un allevamento risale al 2018, a Mamoiada. L’operazione rischia di dover fare i conti con la fretta di produrre la documentazione. Ma nel caso che spuntasse fuori un nuovo caso saremmo “segati”. La Sardegna (dati pre-Covid) è una delle più importanti realtà del centro-sud per numero di suini allevati (circa il 2,5%), ma soprattutto per il numero di scrofe (circa il 6,5% sul dato nazionale) e per numero di allevamenti aperti (il 12%). L’embargo legato alla Psa dal 2010 ha fatto diminuire del 60% le produzioni. Nell’isola sono allevati 187mila 440 capi in circa 14mila 170 aziende registrate, oltre il 95% sono a livello domestico anche se non sempre catalogate come tali. E ci sono 40 aziende della trasformazione. «L’effetto Covid – dice Battacone – ha sicuramente avuto impatto sul fatturato, perché solo chi ha fatto cotti ha tratto vantaggio dalla pandemia, non certo chi fa crudo e salsicce, cioè il grosso della produzione in Sardegna, richiesti da alberghi e agriturismo». Cosa potrebbe fare l’isola se sconfiggesse ufficialmente la Psa? «Basti dire che l’80% degli insaccati che consumiamo sono di carni non sarde. Ma non è il mercato locale ad allettare, perché si tratta di una competizione tra poche decine di produttori basata sui prezzi. La scommessa vera è l’export. Provare a trovare mercati diversi. La suinicoltura sarda ha i mezzi per ambire a fare insaccati per tutti i giorni, ma anche aprire linee di alta gamma, ad alto valore aggiunto e quindi di alto costo (come lo spagnolo Patanegra). Nell’isola siamo pochi e non molti sono in grado di pagare 800 euro per un prosciutto. Fuori c’è invece un mercato che cerca questi prodotti». Battacone è diviso tra paura e speranza: «Sono fiducioso perché ci sono tanti giovani che credono nello sviluppo di questo settore e ci hanno gettato energie e risorse, magari creando le condizioni per ampliare l’allevamento di famiglia, ragazzi (e ragazze) che hanno deciso di provare a fare cose diverse rispetto a un mercato che non è più quello di prima. Magari rifornendo anche la salumeria e non limitandosi all’allevamento della scrofa per la produzione di suinetti. Vedo uno spirito diverso anche nella valorizzazione della razza sarda, qualcuno comincia a fare imprenditoria seria su questo campo, mentre sinora ci si era limitati a tenere qualche animale iscritto. C’è chi a Londra sa già di avere uno sbocco, un ristorante che non vede l’ora di importare prodotti dell’isola. Ragazzi che danno per scontato che questo possa avvenire, ci sono tante aspettative di fare reddito, di fare impresa. Ma mi preoccupa perché continuano a vedere rimandato il momento in cui possono raccogliere i frutti». (a.palmas)

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