La Nuova Sardegna

«Perdono per il post, ma solo se ci sono le scuse»

«Perdono per il post, ma solo se ci sono le scuse»

Il senatore in tribunale nel processo contro un attivista che lo aveva accostato a Piazzale Loreto

02 marzo 2021
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CAGLIARI. Matteo Salvini non perdona, anzi perdona ma solo se arrivano «scuse pubbliche e qualcosa da destinare a un’associazione benefica». Insuperabile, quello che ha scritto su di lui Mauro Aresu (37 anni) di Villasimius su Facebook? «La critica politica è sempre accettabile, agli insulti non faccio caso, ma accostare il mio nome a quello di Mussolini e al periodo più nefasto della storia italiana no, questo non va bene». Sono appena passate le 11 quando il leader della Lega ed ex ministro degli Interni raggiunge il corridoio del tribunale passando da un ingresso secondario del palagiustizia. C’è la scorta, ci sono carabinieri e poliziotti, c’è il plenipotenziario leghista in Sardegna Eugenio Zoffili, c’è la gentilissima avvocata Claudia Eccher ad accompagnarlo tra ali di curiosi mentre davanti all’ingresso principale del palazzo si è formata una folla di amici, conoscenti e supporter di Aresu, tra cartelli ostili e richiami al Salvini d’altri tempi, quello che metteva i sardi fra i terroni. L’udienza si è aperta puntuale alle 11.30, da una parte Aresu affiancato dall’avvocata Marcella Cabras, dall’altra il leader politico col suo staff. Le prime domande sono quelle del pm Andrea Massidda, dopo parla la Eccher, dopo ancora l’avvocata Cabras: tutti cercano il filo che conduce all’origine della querela firmata da Salvini contro Aresu, fondata su un post del 26 settembre 2017, quando non c’era la pandemia e neppure il voto leghista era pandemico: «Ci apprestiamo ad accogliere Salvini a Cagliari come merita un uomo di tale portata - era scritto - a Torino per il G7 la ghigliottina che fa molto rivoluzione francese, a noi invece piacciono i distributori di benzina di piazzale Loreto». Insieme al post una locandina capovolta, quella che annunciava la manifestazione leghista. Un post evocativo ma di chiaro taglio politico, che tradotto con il codice penale fa una triplice accusa di diffamazione aggravata, istigazione a commettere azioni delittuose e minacce. Troppo, così ha detto, anche per un Salvini abituato a un’alternanza incessante di apprezzamenti e ingiurie: «Non mi ritengo un Mussolini - ha detto e ripetuto anche in aula - col fascismo io non c’entro. Comunque scuse, pubbliche, qualcosa in beneficenza e per me la partita si chiude». La presidente Cristina Ornano: le domande che fluttuavano nell’aria le ha rivolte lei al senatore, chiedendogli di argomentare dove in veste di parte lesa si sentisse leso. Le domande del giudice guardavano al senso delle frasi incriminate, in altre parole alla fondatezza di un capo d’imputazione abbastanza raro nella sua severa articolazione: «Lei, senatore, ha trovato assonanze col fascismo in quel post? Perchè la linea difensiva, mi sembra di capire, è di considerare piazzale Loreto un riferimento di pensiero, non un’idea concreta». Si continua il 26 aprile con l’esame di Zoffili e altri testi. (m.l)

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