La Nuova Sardegna

Lo spiedo e il fuoco come in un rito antico per cucinare l’agnello

di Giovanni Fancello
Lo spiedo e il fuoco come in un rito antico per cucinare l’agnello

Passata la Pasqua, niente vieta di continuare a mangiare l’agnello, cucinandolo magari in una delle innumerevoli modalità raccontate da Rita Pirisi nel libro “Sa Mandra. L’agnello e le ricette della...

09 aprile 2021
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Passata la Pasqua, niente vieta di continuare a mangiare l’agnello, cucinandolo magari in una delle innumerevoli modalità raccontate da Rita Pirisi nel libro “Sa Mandra. L’agnello e le ricette della tradizione” venduto in abbinamento con La Nuova Sardegna a partire da sabato scorso. Consiglierei di cuocerlo allo spiedo davanti al fuoco, perché è così che sprigiona la sua succulenza più prelibata. Maestro in quest’arte è Giuseppe Murrocu. È lui che con sapiente maestria cuoce le carni davanti al camino a Sa Mandra di Alghero. Lo fa rispettando antichi rituali, ripete gesti e inconsapevolmente perpetua tradizioni. Un testo dai profondi rimandi, che si possono trovare in scritti che sono dei capisaldi della storia gastronomica del Mediterraneo. Grazia Deledda ne “Il vecchio della montagna”, descrive con precisione le gesta del pastore che prepara l’agnello arrosto per la Pasqua. «Intanto i due fratelli preparavano la cena. Se la madre aveva nascosto l’agnello pasquale e cotto i maccheroni tradizionali per rispettar la vigilia e risparmiare il cacio, essi avevan portato segretamente all’ovile altri due agnelli, e trovato ben il modo di preparare agli amici il vino, il formaggio, il pane bianco, e persino il caffè e un cestino d’uva dorata ancora fresca... Uno per parte del focolare, gli agnelli infilati in lunghi schidioni neri cominciarono a friggere, gocciolando il grasso sulle brage, dalle quali saliva una nuvola di fumo odoroso…Gli agnelli erano cotti e la lor crosta rossa e screpolata luceva di grasso, alla tenue luce del fuoco ridotto in brage… Basilio si sollevò alquanto, e vide che i giovani, trinciati gli agnelli sul tagliere di legno, uno dei cui angoli era scavato per far da saliera, mangiavano avidamente, tenendo la carne fra le mani e strappandone grandi morsi coi denti incisivi». Ma anche nell’Iliade di Omero assistiamo alla descrizione dei preparativi di un banchetto sacrificale. Cuocere la carne allo spiedo, è un atto prezioso; è condividere con le divinità il cibo. Come di grande suggestione sono i gesti che fissano e descrivono il rituale intriso di religiosità del sacrificio dell’animale: «Dopo che ebbero pregato e lanciato i chicchi d’orzo / sgozzarono le vittime, il capo volto all’indietro;/ indi le scuoiarono, poi tagliarono le cosce e le avvolsero / con doppio omento, e sopra, vi posero pezzi di carne./ Il vecchio le arrostiva sulla fiamma, irrorandole di vino lucente/ giovani servi a lui accanto reggevano schidoni a cinque rebbi./ Poi come furono rosolate le cosce e assaporate le viscere/tagliarono il resto a pezzi, e questi infissero negli spiedi/ e arrostiti che furono, li tolsero dal fuoco./ Terminato poi il lavoro e imbandita la mensa / banchettarono tutti e ognuno ne ebbe in abbondanza».Sembra di vedere Giuseppe Murrocu, che ripete e perpetua semplici e significativi rituali, come se il tempo fosse repentinamente passato .

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