La Nuova Sardegna

Scuola e Covid: «Dad e zero socialità, i ragazzi sono abbandonati»

di Silvia Sanna
Scuola e Covid: «Dad e zero socialità, i ragazzi sono abbandonati»

Anna Cau, procuratrice minorile a Cagliari: «Forte disagio, bisogna aiutarli»

23 aprile 2021
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SASSARI. In alcuni casi le famiglie neanche sapevano: il figlio o la figlia aveva deciso di dire basta alla didattica a distanza e loro andavano avanti ignari e incolpevoli. In altri casi invece i genitori erano a conoscenza delle difficoltà dei figli ma non erano in grado di aiutarli. «Il fattore comune, nel lungo elenco di abbandoni scolastici durante la pandemia, è proprio la solitudine dei ragazzi davanti a un pc, senza la vicinanza e il sostegno dei compagni e dei professori, che nel caso di soggetti fragili può fare la differenza. In questo anno di restrizioni e chiusure dovute all’emergenza sanitaria, i nostri ragazzi sono stati messi in secondo piano e molti si sono persi: è tempo di occuparsi di loro per evitare di dover fare i conti con una generazione in macerie».

Anna Cau, procuratrice presso il Tribunale dei minori a Cagliari, ha capito quanto la situazione sia grave quando ha visto i numeri degli abbandoni forniti su sua richiesta dai dirigenti scolastici: 300 in un mese, una enormità rispetto agli standard già molto alti dell’isola, maglia nera in Italia per dispersione scolastica. A lasciare la scuola in quest’anno terribile sono stati ragazzini della scuola media e dei primi anni delle Superiori, ma anche piccoli scolari della materna, tenuti a casa dai genitori perché soggetti fragili o potenziali diffusori del virus in famiglia. «Il quadro che è emerso è drammatico – spiega la procuratrice – e insieme ai Servizi sociali ci siamo immediatamente attivati per ricostruire, caso per caso, che cosa è successo e intervenire di conseguenza».

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Generazione fragile. Già, perché i ragazzi non sono tutti uguali e invece, tra didattica a distanza e restrizioni, non è stato fatto alcun tipo di distinzione: a una intera generazione è stato chiesto un sacrificio enorme senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze. Anna Cau fa subito una precisazione: «Sul banco degli imputati non c’è la Dad, o meglio non solo la Dad. La didattica a distanza è una risorsa, ha rappresentato l’unica possibilità per consentire ai ragazzi di continuare a studiare. Ma non può sostituire la scuola come luogo fisico, di incontro e di confronto, di socialità, di vita. In Dad i ragazzi sono soli: i più forti e strutturati vanno avanti anche se con fatica e mostrando disagi, i più fragili restano indietro, non tengono il passo e alla fine si arrendono. Si sentono persi perché né durante le lezioni né dopo hanno il contatto rassicurante con un compagno, con un docente. I professori hanno fatto il massimo, le istituzioni invece avrebbero dovuto agire meglio. Se un ragazzo non riesce o non può seguire le lezioni a distanza, è ragionevole creare le condizioni per farlo lavorare con altri. Se gli studenti non potranno rientrare a scuola nei prossimi giorni, è necessario compensare questo vuoto enorme che il Covid ha creato nelle loro esistenza aprendo per loro degli “spazi”, delle “finestre” di normalità. Se questa possibilità esiste, concediamola ai ragazzi, noi adulti possiamo rinunciare ma loro no». La procuratrice pensa per esempio all’attività sportiva: «È mancata anche questa importante valvola di sfogo e l’assenza ha pesato moltissimo. Con cautela, favoriamo il ritorno allo sport per i più giovani. Diamogli un segnale positivo per guardare al domani con fiducia: non solo notizie negative, chiusure e contagi, ma anche aperture che allentino la tensione emotiva. Ci sono già brutti segnali su quanto il Covid abbia inciso nel loro equilibrio, evitiamo che scoppino del tutto».

Restrizioni e reazioni. I segnali di cui parla la procuratrice Cau si manifestano nei comportamenti aggressivi, nell’irritabilità crescente di chi si sente come un animale in gabbia: gli adolescenti sono chiusi nelle loro stanze, oppure obbligati a condividere spazi ristretti, senza privacy, con il resto della famiglia, perennemente connessi, tra lezioni scolastiche e chat: «Una quotidianità totalmente diversa da come dovrebbe essere, con un ritmo scandito dallo studio, dalle amicizie, dalle passioni e dalle risate. È normale che i ragazzi non ce la facciano più e si incattiviscano. Stanno vivendo malissimo il periodo più bello, quello della crescita: è tempo di dare loro maggiore attenzione».
 

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