La Nuova Sardegna

I dati non convincono: dubbi sulla zona rossa in Sardegna

di Roberto Petretto
I dati non convincono: dubbi sulla zona rossa in Sardegna

Contestato l’Rt: l’opinione di Maruotti, docente di Statistica alla Lumsa di Roma. «L’isola non la merita: la situazione è più grave in alcune regioni arancioni»

25 aprile 2021
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SASSARI. La classificazione in zona rossa ha lasciato in Sardegna la diffusa sensazione di aver subito un’ingiustizia. Era già accaduto con la retrocessione da bianco a arancione (anche se poi l’aumento dei contagi ha fatto capire che non si trattava di una previsione peregrina). L’ordinanza del ministro Speranza pone sull’isola il bollino che comporta le limitazioni più pesanti, ma con «la possibilità di una nuova classificazione» se riuscirà a contenere in modo efficace la diffusione del contagio, ora in linea con le regioni gialle anche per il numero dei casi ogni 100mila abitanti: 132.

Insomma, la “penitenza” prolungata potrebbe non essere giustificata. Ne è convinto Antonello Maruotti, professore ordinario di Statistica all’università Lumsa di Roma e co-fondatore di Stat-Group 19, gruppo interaccademico di studi statistici sul Covid 19: «La classificazione in zona rossa penalizza troppo la Sardegna».

Cosa è successo? «La Sardegna era zona bianca, aveva meno di 50 casi ogni 100mila abitanti. Poi i casi sono saliti e questo ha portato a una crescita molto evidente dell’indice Rt. Siete arrivati a un Rt di 1,54 che vi ha condannati alla zona rossa».

Maruotti fa parte di quella schiera di studiosi che reputano l’indice Rt strumento quantomeno impreciso: «L’indice Rt viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio. Faccio un esempio: se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c’è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato. Nelle terapie intensive e nei reparti ordinari avete numeri sotto il valore di allerta. È vero che è aumentata l’incidenza, ma comunque non tanto da giustificare una zona rossa».

Eppure gli errori sono stati fatti: «La Sardegna avrebbe potuto far meglio sul tracciamento: quando si hanno 50 casi ogni 100mila si può riprendere a fare il tracciamento, invece questo non è stato fatto. E poi se si pensa di essere in zona bianca e di poter stare in giro tranquillamente allora non si è proprio capito come funziona».

La Sardegna, oltre a un indice Rt oltre soglia, ha pagato anche un alto numero di focolai: «Non credo che il numero dei focolai sia un parametro da tenere troppo in considerazione - dice Maruotti -. Sono più pericolosi 100 focolai con tre persone o 3 focolai con 100 persone? Dipende sempre dal numero di contagiati, di per sé il numero dei focolai non è fondamentale. Piuttosto la Sardegna ha un’altra lacuna, che si evince dai rilievi del report settimanale: è sempre in ritardo nell’aggiornamento del flusso dei dati. E questo non viene mai visto come un buon segno, perché con dati non aggiornati si perde il senso della reale evoluzione dell’epidemia».

Quelle tre settimane di zona bianca sono state pagate con gli interessi: «La Sardegna era già stata penalizzata dall’assenza di zona gialla, finendo direttamente in arancione - aggiunge Maruotti -. La zona rossa in questo momento non ha ragione di esistere: alcune regioni che sono in arancione sono messe molto peggio della Sardegna».

L’insularità e la scarsa densità di popolazione possono essere un vantaggio? «Certamente, come è avvenuto in Australia e Nuova Zelanda. Però servono decisioni forti: a Melbourne, durante gli open d’Australia di tennis, per 13 casi di positività hanno chiuso tutto per 5 giorni. Qui non si riuscirebbe mai a prendere una decisione del genere. E poi per proteggersi non si può far entrare le persone solo col tampone: serve il vaccino o la certificazione di guarigione dal Covid».

I concetti espressi dal docente di statistica sono condivisi a livello locale anche da Francesco Piredda, economista sassarese che lavora per la Camera di commercio e che dall’inizio della pandemia ha elaborato i flussi di dati con pazienza certosina: «Passare come i peggiori, indicandoci addirittura come unica regione in rosso, mi sembra veramente troppo - dice Piredda -. Mi chiedo come sia possibile che non usino i dati più recenti invece che quelli della settimana precedente. Perchè non valutano più le terapie intensive e l'occupazione ospedaliera nell'area non critica? Al 23 aprile gli ospedalizzati in Sardegna sono 26 ogni 100 mila persone, molto peggio di noi fanno ben 16 regioni su 20, in Piemonte sono 63».

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