La Nuova Sardegna

Elisa Sotgiu, ricercatrice e docente ad Harvard Diplomata all’Azuni nel 2010, insegna letteratura Il consiglio ai ragazzi: «Seguite le vostre passioni» 

Dalla Sardegna in America « ma ora sogno di tornare a casa»

Dalla Sardegna in America « ma ora sogno di tornare a casa»

Come giudichi la tua esperienza alla Normale di Pisa?«L’esperienza alla Normale mi ha aiutata molto. Trattandosi di un ambiente ristretto, molti dei problemi di socialità tra gli studenti si riducono...

06 maggio 2021
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Come giudichi la tua esperienza alla Normale di Pisa?

«L’esperienza alla Normale mi ha aiutata molto. Trattandosi di un ambiente ristretto, molti dei problemi di socialità tra gli studenti si riducono in partenza. È facile fare amicizia e si è più in contatto con i docenti. Alla Normale si ha una rete di supporto, si vive un’esperienza collettiva e di conseguenza rassicurante. Ascoltare l’esperienza degli studenti più grandi è utile per capire come comportarsi agli esami. Non ho mai avuto problemi per le valutazioni, l’importante è studiare con regolarità e tenere una media del 27».

Consiglieresti ai nostri coetanei di studiare fuori o di sfruttare quanto la Sardegna e l’Italia hanno da offrire?

«Personalmente non ho mai pensato di rimanere in Sardegna. Le mie esperienze a Pisa, a Warwick e a Parigi mi hanno condotto negli Stati Uniti per il Dottorato di Ricerca, e non ho ancora progetti chiari per un eventuale rientro in Italia. Ma mi piacerebbe fare qualcosa in Sardegna, piuttosto che mettere a disposizione le mie risorse e il mio sapere per un Paese che non è il mio. Non apprezzo che alcune menti vengano estirpate dalla loro comunità d’origine per contribuire allo sviluppo economico di Paesi già ricchi».

Hai trovato difficile essere all’altezza nel contesto internazionale?

«Ho vissuto tutto con molto entusiasmo, senza paura di sentirmi inadeguata per via del mio background. A Harvard i ragazzi con cui lavoro sono ottimi studenti (meno del 5% di chi fa domanda viene ammesso), ma non arrivano tutti con lo stesso livello di istruzione, e anche loro spesso non si sentono all’altezza dell’università in cui sono stati ammessi. In questo senso, avere un diploma del Liceo Azuni non mette in una posizione di svantaggio rispetto a chi proviene da altre parti del mondo. Nel caso di Harvard, alcuni miei studenti del primo anno hanno già avuto esperienze internazionali di lavoro e volontariato, ma non si tratta della maggioranza né tantomeno degli studenti più brillanti, solo dei più benestanti».

Quali differenze hai rilevato tra il sistema italiano e quello statunitense, sia nel contesto scolastico che del mercato del lavoro?

«Sono molto diversi. Nei college americani si sceglie un major (specializzazione) dopo un anno o due, e si possono dare esami in diverse discipline. Negli Stati Uniti non è consentito ridare gli esami, e quindi gli studenti sono sottoposti a maggiore pressione. Rispetto all’Italia, si dà molta più importanza ai contributi originali degli studenti, piuttosto che alla memorizzazione dei contenuti. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, in entrambi i sistemi c’è molta competitività tra candidati molto qualificati. Ci sono poche posizioni accademiche in entrambi i Paesi. Quindi per il futuro dovrò vedere dove si presenta l’opportunità migliore».

Francesca Posadinu

Gabriele Lai



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