La Nuova Sardegna

Vini dealcolati, sulla proposta choc il no dell’isola all’Ue

Antonello Palmas
Vini dealcolati, sulla proposta choc il no dell’isola all’Ue

Produttori: «Non è la stessa cosa, chiamateli in un altro modo»

22 maggio 2021
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SASSARI. «Va bene tutto, ma non chiamiamolo vino» è il sentire comune del mondo della vitivinicoltura isolana nel commentare la possibilità che l’europea Ocm (l’organizzazione comune dei mercati) apra a estendere le etichette come Dop, Docg e Igp anche ai vini privati dell’alcol durante la produzione. La notizia si è diffusa in maniera poco chiara e qualche media ha giocato a stuzzicare la pancia degli antieuropeisti facendo credere che si voglia obbligare ad “annacquare” il nostro vino (da Bruxelles tra l’altro negano di aver parlato di acqua). In realtà la questione si riduce all’idea di considerare i dealcolati nella stessa categoria dei vini. Proposta ancora da discutere nel quadro dei negoziati in vista della Pac (Politiche agricole comunitarie) del 2023.

Battaglia commerciale. «Surreale, non pensiamo nemmeno che la cosa possa andare in porto – dice Alessandro Dettori (Tenute Dettori di Sennori) – Dietro ci sono le solite richieste dei paesi del nord Europa, non produttori, per mettere paura a Italia, Francia e Spagna e difendere le esigenze di multinazionali. Non è la prima volta che ci provano. Facendo leva su vino mirano a far passare qualcos’altro cui tengono: la questione dei “semafori” per cui sarebbero puniti prodotti tipici della nostra cultura alimentare, formaggi, vini, salumi, addirittura il miele, considerati a loro dire pericolosi per la salute. È comunque giusto fare le barricate: non si può chiamare vino qualcosa che contiene acqua». E se invece si aprisse un mercato nuovo nei Paesi arabi: «Non possiamo rischiare di distruggere una cultura agroalimentare solo per questo – dice Dettori – Anche perché laggiù non possono bere alcol nemmeno a bassissima gradazione. Che razza di vino sarebbe?».

Non è coca cola. Considerare queste nuove bevande come vini? «Sarebbe una semplificazione errata – dice il presidente regionale di Assoenologi, Mariano Murru – Il vino non è solo una bevanda, allungabile o... allargabile come si vuole. Ha una sua storia, una sua tradizione, è legato in maniera molto stretta alla storia e alle persone di un territorio, è quindi un elemento culturale che non può essere paragonato a una coca cola, cui basta una ricetta e una fabbrica per produrla uguale in tutto il mondo. Qui ti sposti di 500 metri e trovi un vigneto che produce in modo diverso, con risultati diversi, influenzati da condizioni climatiche, mano dell’uomo, tradizioni». Siamo sicuri che un giorno non vedremo in vendita una bottiglia di Cannonau dealcolato? «Ci sono regole stringenti nei disciplinari delle denominazioni di origine – dice Murru – e comunque sono sicuro che i nostri rappresentanti e quelli francesi si batteranno affinché una eventuale modifica venga relegata ai soli vini tavola, possibilmente inserendoli in una categoria ben distinta e identificabile».

Si aprirebbe una breccia. «Facciamo di tutto per avere nei nostri vini, aromi, sostanze, territorialità e poi ci propongono di mescolare tutto con l’acqua…: che fine farebbe la viticoltura di qualità?» si chiede Mario Peretto, presidente della cantina Santa Maria La Palma – È un progetto da ostacolare assolutamente. Anche se mi dà l’impressione che si a emerso da qualche cassetto in un ufficio di Bruxelles, piuttosto che da una proposta organica vera e propria. Sarebbe comunque un problema vero per il settore». Ma non c’è già l’esempio della birra analcolica? Non ha tolto niente al mercato della birra classica. «In questo caso il problema è che stai dando l’opportunità di iniziare a sofisticare. Apri una breccia per un processo che non sai dove ti porta, per cui i produttori corretti continuano a esserlo e ci sono altri che cercano di approfittare di chi fa viticoltura di eccellenza, non può avere grandi produzioni e punta sulla qualità. Una volta che si ammette la diluizione, si apre un processo incontrollabile. Non se ne parla nemmeno». Non basterebbe la garanzia che a controllare sia eventualmente il mondo stesso del vino? «No, perché si vogliono modificare dei parametri che renderebbero i controlli problematici. Si inventi un altro prodotto e lo si chiami in un altro modo. Magari avrà un mercato superiore? Ok, ma che sull’etichetta non ci sia scritto vino».

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