La Nuova Sardegna

«Le risorse del recovery per la cultura nell’isola»

di Claudio Zoccheddu
«Le risorse del recovery per la cultura nell’isola»

Dopo il lancio della Fondazione Mont’e Prama, focus sulle prospettive di sviluppo Il ministero scommette su archeologia, ferrovie turistiche e major del cinema

11 luglio 2021
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SASSARI. Non solo spiagge e tramonti da sogno. L’isola è una gemma culturale tanto unica quanto poco conosciuta, perlomeno sotto questo punto di vista. L’archeologia della civiltà nuragica non ha mai acceso la fantasia delle masse e la terra dei 7mila nuraghi ha iniziato da poco a muovere i primi passi nell’affascinate universo del turismo culturale. E se Su Nuraxi di Barumini viaggia spedito verso risultati di tutto rispetto, il resto dell’isola è in ritardo. Recuperare il tempo perduto sarà complicato ma non impossibile. Ne è convinto il ministro della Cultura, Dario Franceschini, reduce da un passaggio nell’isola per la firma sull’atto costitutivo della fondazione che gestirà presente e futuro dei giganti di pietra del Sinis.

Quale sarà il ruolo di Mont’e Prama e del Sinis nel circuito archeologico nazionale?

«Si tratta di una grande opportunità per il territorio e per la Sardegna. La Fondazione è di respiro nazionale, e quando saranno completati i nuovi spazi museali che abbiamo finanziato, riunirà a Cabras l’intero complesso scultoreo, un’occasione unica per fare un salto di qualità e attrarre visitatori da tutto il mondo. Insieme a Tharros, alla torre di San Giovanni e all'ipogeo di San Salvatore di Sinis rappresentano una offerta culturale dal fascino straordinario. Condividiamo con la Regione e il Comune la consapevolezza del grande potenziale, le risorse e i progetti non mancheranno».

La storia contemporanea dei giganti ha già 47 anni, trascorsi perlopiù in silenzio. In che modo la Fondazione Mont’e Prama potrà imprimere l’accelerata necessaria a recuperare il tempo perduto?

«È la sfida della Fondazione. Dovrà dotarsi di un comitato scientifico e selezionare il direttore con un bando internazionale. I musei nell’accezione moderna non sono meramente luoghi dove si raccolgono ed espongono i reperti ma istituzioni vive, propositive, che dialogano con le comunità e coniugano valorizzazione, tutela e ricerca».

Il museo archeologico di Cagliari sarà impoverito dalla nascita della Fondazione Mont’e Prama?

«Non credo, il museo di Cagliari ha ottenuto l’autonomia gestionale e scientifica, e un anno fa si è insediato il nuovo direttore Muscolino. Come è accaduto in altre realtà, sono certo che questa autonomia rafforzata attiverà un percorso virtuoso. E poi museo e pinacoteca racchiudono una raccolta vastissima che si è creata a partire dall’Ottocento, un vero viaggio nel tempo nella preistoria, nella storia, e nell’arte della Sardegna. Le sculture di Mont’e Prama sono ospiti relativamente recenti, e i tesori non mancano. In questo momento al British Museum è in corso una mostra su Nerone e sul manifesto campeggia un busto del Museo cagliaritano».

È possibile che altri poli di attrazione culturale e turistica della Sardegna possano essere gestiti da fondazioni?

«In ogni realtà è giusto immaginare la formula più adeguata. Il fronte su cui dobbiamo fare di più e sul quale si sta lavorando da diversi anni è di costituire un sistema nazionale museale, e quindi regionale, per fare rete e creare sinergie fra tutti i musei, statali, locali, diocesani, pubblici e privati. Penso in Sardegna a piccoli gioielli come la Stazione dell'arte Ulassai su Maria Lai o il Museo Nivola di Orani».

Poi ci sono le difficoltà croniche della “destagionalizzazione”. L’archeologia può essere la cura giusta?

«Può essere uno degli ingredienti, soprattutto di fronte ad un patrimonio enorme e diffuso come quello sardo, un paesaggio costellato di nuraghi, pozzi sacri, domus de janas. Dopo la pandemia vanno ripensati molti paradigmi, in una logica di sostenibilità. Quinid è importante andare oltre la proposta balneare, valorizzando quell’intreccio unico di cultura, paesaggio, qualità della vita, prodotti e sapori che esprime la Sardegna».

Il recovery per la parte cultura prevede risorse che possono arrivare in Sardegna?

«Ci sono risorse importanti per il patrimonio culturale, per la messa in sicurezza, per l’efficientamento energetico e per la digitalizzazione. E poi penso ai tanti paesi della Sardegna, alle aree interne, ricchi di tradizioni e saperi ma che lottano contro lo spopolamento. E’ previsto un piano nazionale dei borghi da un miliardo, la protezione e la valorizzazione dell’edilizia rurale con 600milioni e la valorizzazione di parchi e giardini storici con 300 milioni».

L’isola ha 450 chilometri di rete ferroviaria turistica dalle enormi potenzialità, anche per lo sviluppo della ricettività nelle zone interne. Il “Trenino verde della Sardegna” può diventare un’attrazione turistica?

«Il patrimonio di binari a scartamento ridotto della Sardegna costituisce un unicum a livello nazionale ed europeo. C’è un dialogo in corso con la Regione per ragionare su un progetto di rilancio, individuando insieme forme di collaborazione, con il possibile coinvolgimento della Fondazione Fs.

Al di fuori del settore archeologico, in Sardegna ci sono altre importanti realtà come il compendio Garibaldino a Caprera, per lungo tempo il museo più visitato della Sardegna, che ora sembra in sofferenza.

«Alla casa di Garibaldi si è aggiunto nel 2012 il Memoriale, inaugurato dal Presidente Napolitano nel Forte Arbuticci. Caprera è un luogo unico che unisce storia, ambiente e biodiversità. Nel 2017 abbiamo stanziato per il compendio un milione di euro del Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” e so che i lavori dovranno partire a breve. Ma è un santuario laico del Risorgimento e dell’unità nazionale, impossibile trascurarlo.

Nell’isola in questo momento si stanno girando diverse produzioni, quanto il cinema concorrerà alla ripartenza?

«È una grande industria oltreché una vetrina per i territori. Siamo sempre più attrattivi grazie al combinato disposto del lavoro delle film commission delle regioni e alla nostra legge sul tax credit, che è cresciuta come volume delle risorse e come miglioramento delle regole, tra fondi selettivi, contributi automatici e incentivi fiscali, aumentando l’attrazione di investimenti internazionali nel nostro paese. Abbiamo sostenuto in ogni modo chi ha scelto anche durante la pandemia di girare film e serie in Italia. Rispettando le misure di sicurezza e ogni cautela prevista dai rigidi protocolli, si è proseguito con le attività di produzione, salvaguardando posti di lavoro in un momento di grave crisi».

Sulle pagine del nostro giornale lo scrittore Marcello Fois ha proposto di riprogrammare la realizzazione del Museo Bètile dalla periferia di Cagliari alla zona industriale di Porto Torres. Ne è seguito un ampio dibattito. Cosa ne pensa?

«Ricordo il bellissimo progetto di Zaha Hadid ma non lo conosco così dettagliatamente da dire se possa essere trasferito in un'altra realtà. Condivido però quella che credo sia l’intuizione di fondo della proposta di Fois. In Europa ci sono molti esempi di territori che hanno vissuto una crisi non solo economica ma anche di vocazione, a seguito dei processi di deindustrializzazione, ed hanno saputo reinventarsi proprio scommettendo sulla cultura. Porto Torres ha millenni di storia, tesori archeologici e artistici, dalle testimonianze romane a quelle giudicali, e possiede tutte le potenzialità per scrivere una pagina nuova dopo la petrolchimica».

Dal dibattito sulla questione del Bètile è arrivata dall’architetto Boeri una proposta di candidatura per Sassari capitale della Cultura. La città può ambire a questo riconoscimento?

«Certamente, il ministero nomina una giuria e ovviamente io devo rimanere imparziale ma Sassari ha tutte le carte in regola, storia, identità, associazioni e istituzioni culturali, una festa patrimonio Unesco, l’Università. Non aggiungo altro perché sono già in aperto conflitto di interessi, mia nonna paterna, Angiolina Cavicchini Lay, era sassarese, e mia moglie ha radici a Usini, dove viene prodotto l’ottimo Cagnulari. Con la selezione per la capitale della Cultura si attiva una competizione positiva fra città, un meccanismo virtuoso di capacità progettuale, di programmazione, di creatività, di buone pratiche. Può sembrare una frase un po’ alla Decoubertin ma davvero partecipare è già di per se una bella occasione per scatenare energie e mettere in rete i propri talenti».

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