La Nuova Sardegna

La faida di Noragugume sulle pagine del Times

La faida di Noragugume sulle pagine del Times

Dopo l’omicidio Cherchi il quotidiano inglese parla delle vicende del paese sardo

12 settembre 2021
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SASSARI. «Benvenuti a Noragugume, il villaggio sardo devastato da una decennale faida sanguinaria»: Tom Kington ha dedicato al centro del Marghine un lungo articolo sul quotidiano inglese The Times. L’omicidio di Luigi Cherchi, avvenuto il 3 settembre, ha risvegliato meccanismi che si credevano ormai inceppati e dimenticati. Meccanismi osservati, studiati e dibattuti a lungo. Pietra miliare di questo studio è di certo il lavoro di Antonio Pigliaru sul Codice Barbaricino e non a caso anche il Times lo ricorda: «Il filosofo sardo Antonio Pigliaru - si legge nell’articolo del quotidiano inglese - fu il primo a definire, negli anni ‘50, il codice non scritto stilando i 23 principi che hanno guidato le famiglie locali per secoli nella punizione di tutti i reati, dal furto di pecore all’omicidio».

The Times cita anche il docente di sociologia dell’Università di Sassari Pino Arlacchi, grande estimatore del lavoro di Pigliaru: «C’era un obbligo di rispondere con una forza uguale a qualsiasi attacco contro la propria famiglia, tipico delle società dove lo Stato è debole».

Ma l’articolo non vuole essere un trattato di sociologia. È anzi molto addentro alle cronache, con testimonianze del procuratore della Repubblica di Oristano, Ezio Domenico bass, del sindaco di Noragugume, Rita Zaru, del parroco del paese, don Maurizio Demartis. Racchiude anche brevi frammenti di reazioni da parte di cittadini di Noragugume, tutti anonimi. Anche perché quando il giornalista chiede il nome a uno dei suoi interlocutori, un amico lì vicino interviene per dire: «Se lo fai, diventi parte della catena».

Un mondo che convive con modernità e progresso e il giornale inglese coglie il contrasto e lo propone ai suoi lettori: «Gli omicidi per vendetta dovevano essere un ricordo del passato in Sardegna, una forma di giustizia basata su un arcaico codice d’onore, del tutto in contrasto con l’immagine dei porti turistici sulle coste dell’isola dove fanno festa pop star e calciatori». Peccato per lo scivolone geografico di Noragugume descritto come paese «nascosto tra le colline dell'entroterra barbaricino».

A parte questo, lo spaccato proposto dal Times è abbastanza scrupoloso e non concede molto al sensazionalismo. E pone un quesito: sangue chiama sangue, dunque? Ancora oggi, nel 2021? Il lavoro di Antonio Pigliaru, come dimostrano le cronache recenti, è purtroppo ancora attuale.

«Pigliaru ha rivolto la sua attenzione a questa parte della Sardegna (centrale), indicando la presenza di un ordinamento giuridico contrapposto a quello dello Stato, ovvero un vero e proprio codice normativo che disciplinava la vendetta in quanto strumento di regolazione sociale», scriveva Antonietta Mazzette nel marzo del 2019 in un inserto che La Nuova aveva dedicato a Antonio Pigliaru. Quella Sardegna è mutata e con essa la criminalità. Ma alcuni meccanismi sono ancora attivi: «È difficile - scriveva ancora la Mazzette - ritenere che la vendetta sia ancora il motore della criminalità, almeno nel senso che aveva per Pigliaru, ciò non certifica che, insieme ad essa, sia scomparso anche l’intero ordinamento di cui faceva parte, ma i numerosi elementi di cambiamento che abbiamo registrato nel corso di questi ultimi 15 anni, ci suggeriscono che gli interessi della criminalità poco abbiano a che fare con il mondo a cui si riferiva Pigliaru, se non per due fattori: c’è una componente di violenza che continua ad essere una risposta primordiale alle controversie e ai conflitti sociali; la medesima area studiata da Pigliaru continua ad essere interessata da forme di violenza come se fossero una delle poche possibilità di affermazione individuale».

Mentre Giulio Angioni sottolineava: «La vendetta è, oltre che dovere morale, anche dovere giuridico, perché si configura come castigo, e in questo contesto da “codice di guerra”, come lo qualifica Pigliaru, la nozione di castigo non è incommensurabile con la nozione moderna e civile di pena».

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