Sua maestà il bovino sardo
di Giovanni Fancello
Nell’isola oltre 250mila capi. L’80% dell’allevamento serve per la produzione di carne I vitelli, dopo 6-9 mesi sono venduti nella Penisola, e riacquistati attorno ai 18 mesi
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In Sardegna si continua a produrre sempre meno e a importare sempre di più. Nulle o inesistenti sono le politiche economiche a vantaggio delle produzioni locali. Oltre il 60% della carne bovina consumata dai Sardi proviene da mercati nazionali, europei e internazionali. Eppure, l’isola possiede un patrimonio bovino di oltre 250.000 capi, ripartito in meno di 8000 aziende, e l’80% dell’allevamento, è finalizzato alla produzione di carne. Gran parte degli allevamenti sardi che produce vitelli, dopo 6-9 mesi, vende gli animali ai centri di ingrasso della Penisola, e attorno ai 18 mesi di età, vengono macellati. Il prodotto vitello nato in Sardegna, è spesso reimportato nella nostra Regione sotto forma di carni già macellate, perdendo per strada parti preziose della bestia, come il cosiddetto quinto-quarto, impoverendo anche quel valore aggiunto e quelle caratteristiche intrinseche del prodotto originario. Il consumatore oggi è sempre più consapevole e presta maggiore attenzione alle caratteristiche nutrizionali degli alimenti di origine animale, e anche i produttori dovrebbero osservare metodi e procedure che coniughino convenienza, catena di produzione e salubrità. Auspicabile sarebbe ad esempio che il vitello dopo essere nato e allattato per 6-9 mesi, rimanga nell’isola e che qui continui a crescere e ingrassare. Per questo l’Università di Sassari ha strutturato un progetto denominato “MeatCulture”, coinvolgendo la Cooperativa Produttori Arborea, che sotto il coordinamento dell’agronomo Roberto Lai, intendono promuovere una serie di attività con lo scopo di valorizzare la produzione della carne bovina sarda, e di rivalutare tutte le parti animali che hanno perso interesse alimentare, come il quinto-quarto. Parti ingiustamente considerate meno nobili, ma preziose in cucina. Tante e succulenti sono le ricette tradizionali che si possono utilizzare per cucinare testa, cervella, guance, lingua, coda, zampe, stomaco, rognone, trippa, fegato, polmone, cuore, granelli, stomaco e milza. Per la messa in atto del progetto, l’Università di Sassari, ha creato diversi gruppi scientifici con i quali confrontarsi e collaborare: Gruppo Scienze e Tecnologie Alimentari del Dipartimento di Agraria, per la messa a punto delle tecnologie dei prodotti realizzati; Gruppo Ispezione degli Alimenti di Origine Animale del Dipartimento di Veterinaria per la valutazione sanitaria e microbiologica dei prodotti; Gruppo Economia Agraria del Dipartimento di Agraria per la valutazione dell’impatto economico che i processi e i prodotti sviluppati avranno sulla filiera di produzione della carne bovina in Sardegna. Le attività dei vari gruppi scientifici saranno finalizzate, ad esempio, allo sviluppo di specifiche tecniche di frollatura, spesso poco curate, che migliorano le caratteristiche proprie della carne, donando loro maggiore tenerezza, mantenimento del giusto colore, riuscendo a preservare tutte le più importanti caratteristiche sensoriali. Come importante sarà analizzare e valorizzare il cosiddetto quinto-quarto che, ora, viene solo e quasi totalmente smaltito rappresentando solo un costo per l’azienda. Progetti che prevedono di trasformare tutto ciò che è considerato uno scarto, in una risorsa alimentare in grado di generare mercati appetibili e diversificare un gusto sempre più omologato. È necessario mettere a punto tecnologie idonee per il recupero e la commercializzazione di alcune parti come la trippa, ma anche la realizzazione di preparati gastronomici. Sarà fondamentale garantire lo stato sanitario delle operazioni che si compiono nel processo grazie ai rilevamenti svolti dai gruppi di ispezione degli alimenti e dall’analisi dell’impatto economico sulla filiera. Il principale risultato che si attende dal progetto, che si svolgerà nell’arco di 24 mesi, è l’incremento della diffusione sul mercato di carni bovine da filiera interamente sviluppata in Sardegna che potrà dare benefici economici per chi produce, ma anche diversificazione e consapevolezza al consumatore. Solleticato e sollecitato a recuperare il piacere di degustare prodotti dimenticati, che cucinati nel modo più appropriato rendono un gesto come lo sfamarsi, un gesto consapevole ed ecosostenibile.
