La Nuova Sardegna

I balneari preoccupati: «L’isola fa gola, si rischia l’effetto Grecia»

di Alessandro Pirina
I balneari preoccupati: «L’isola fa gola, si rischia l’effetto Grecia»

Le associazioni intervengono dopo la sentenza del Consiglio di stato: «Il governo impedisca lo shopping dei gruppi stranieri»

11 novembre 2021
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SASSARI. Il Consiglio di Stato non ha lasciato spazio a dubbi: la proroga delle concessioni demaniali può essere estesa fino al 31 dicembre 2023, dopo quella data nessuna legge o sentenza potrà congelare ulteriormente la situazione attuale. Una doccia fredda per il mondo dei balneari, che confidava in una pronuncia che in qualche modo ammorbidisse le rigidità europee. Invece, ora sa che ha davanti a sé solo due anni di certezza lavorativa e dunque fa appello alla politica affinché trovi una soluzione tampone, nel rispetto della normativa europea, ma tutelando le imprese. Cosa impossibile per alcuni Comuni sardi che, di fronte alla decisione del governo italiano - era il Conte I con Lega e M5s - si erano opposti alla proroga al 2033 perché in contrasto con la direttiva Bolkestein. E ora la sentenza del Consiglio di Stato ha dato loro ragione.

Balneari sul piede di guerra. La pronuncia del Consiglio di Stato ha gettato nel panico il comparto dei balneari. Circa un milione di persone in tutta Italia, diverse migliaia anche in Sardegna. E, infatti, le sigle della categoria si sono riunite per stilare un documento unitario. «La sentenza appare sconcertante perché il Consiglio di Stato afferma la contrarietà al diritto europeo delle proroghe disposte dal legislatore e dalla pubblica amministrazione in quanto "automatiche e generalizzate" e nel contempo stabilisce esso stesso una proroga, assolutamente insufficiente a stabilizzare il comparto balneare, di soli due anni – scrivono Claudio Maurelli per Federbalneari, Gianluigi Molinari per Fiba Confesercenti, Claudio Del Giudice e Alberto Bertolotti per Sib Confcommercio –. Il giudice non può sostituirsi al legislatore, cui esclusivamente compete l'onere di trovare il corretto contemperamento tra le esigenze di garanzia della concorrenza e di tutela dei diritti fondamentali dei concessionari: 30mila piccole e medie imprese italiane, nel 98 per cento a conduzione familiare».

I balneari chiamano in causa la politica, prima «perché non è riuscita a varare una legge quadro di riforma integrale e risolutiva», poi però si appellano ad essa: «Il governo ha promesso la legge di riordino del settore subito dopo la sentenza, da scrivere in una “ottica di problematiche micro economiche” come sostenuto dallo stesso presidente Draghi, ovvero tenendo conto della variegata realtà e delle specificità dell'impresa e del turismo balneare italiane». I sindacati, che ieri hanno incontrato l’assessore Quirico Sanna - «ha ribadito la linea sino ad ora percorsa dal suo assessorato, da tutto il governo e dal Consiglio regionale, ovvero di supportare e difendere la piccola impresa balneare sarda» - si danno appuntamento al 26 novembre a Cagliari alla Fiera «per supportare e stimolare la politica nazionale a legiferare tempestivamente, onde evitare che la Sardegna diventi la “nuova Grecia” come sono riuscite a fare con efficacia Spagna e Portogallo tramite l’adozione di leggi organiche sul demanio, mai contestate da Europa e tribunali. Non intendiamo diventare terra di shopping per i grandi gruppi stranieri».

I sindaci. Se i balneari piangono, i sindaci che non avevano firmato la proroga al 2033, tanto da essere commissariati dalla Regione, non sorridono. Perché, per quanto il Consiglio di Stato abbia stabilito che la ragione stava dalla loro, sanno che la sentenza può essere uno tsunami per molti imprenditori locali. I 7 Comuni erano Cagliari, Quartu, Posada, Orosei, Arzachena, Loiri Porto San Paolo e Olbia.

E proprio il sindaco del capoluogo gallurese, Settimo Nizzi, era stato tra i più irremovibili, andando anche contro big del suo partito come Maurizio Gasparri. «Non poteva che andare così – dice –. C’è una gerarchia delle fonti che è insuperabile. Era assolutamente impensabile che si potesse superare una norma europea per uno Stato membro e soprattutto una sentenza dell’Alta corte di giustizia europea che su un determinato argomento si pronuncia una volta sola». Nizzi guarda già al 2024. «Ci sono due anni di tempo per fare le gare. La Regione deve restituire ai Comuni la potestà sul demanio. Nel contempo dia ai Comuni delle linee guida stringenti a cui debbono attenersi nei bandi di gara. Io mi auguro che a vincere siano gli stessi concessionari di oggi, ma deve essere una gara aperta a tutti. È un principio sacrosanto».

«La sentenza ha dimostrato che il quadro non era molto chiaro – gli fa eco Graziano Milia, sindaco di Quartu –. Ora, però, nel fare i bandi la Regione - che incomprensibilmente ha avocato a sé questa potestà - tenga conto che esiste un qualcosa che ha vissuto per anni e va salvaguardato. Le concessioni sono molto appetite, c’è il rischio che ingenti risorse dall’origine poco chiara possano essere ripulite negli stabilimenti. Per contrastare questo pericolo occorre un quadro che salvaguardi al massimo l’esperienza nata qui».

Per Francesco Lai, sindaco di Loiri Porto San Paolo, il Comune da cui è partita la “guerra degli ombrelloni”, la soluzione per tutelare gli imprenditori locali «può essere solo un accordo tra Stato e Ue. Nessuna amministrazione o tribunale possono disapplicare la sentenza. Quel che è certo è che la Regione, dopo avere avocato a sé la potestà in tema di demanio, non può ora chiamare in causa i Comuni per colmare questo vulnus legislativo».

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