La Nuova Sardegna

«Scampata alla morte vivo ancora nell’incubo»

di Salvatore Santoni
«Scampata alla morte vivo ancora nell’incubo»

Piera Muresu, ferita dal compagno a Sennori: «Quella scena davanti agli occhi»

25 novembre 2021
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SENNORI. Le ferite, le notti agitate, una pistola che non si trova. E una domanda che le consuma l’anima: «Perché Adriano ha cercato di uccidermi?». Cerca questa risposta in continuazione Piera Muresu, la 48enne che il 7 settembre ha visto la sua storia d’amore esplodere nelle campagne alla periferia di Sennori insieme ai due colpi di calibro 22 sparati alle spalle dal suo compagno Adriano Piroddu, che poi si è ucciso. Ma di una cosa è certa: «Chi gli ha dato quell’arma dovrebbe avere i miei stessi incubi».

La ripresa. La donna è tornata a casa circa due mesi fa, dopo una decina di giorni in ospedale e alcuni interventi chirurgici. «All’inizio è stata dura, le ferite ci sono e si fanno sentire – racconta la 48enne –. Il momento più difficile è la notte, tra dolori, incubi e ricordi. Mi chiedo sempre quale sia stato il motivo di un gesto simile, non riesco a darmi una risposta, sempre tutto così irreale. Mi sento intrappolata in un labirinto».

«Voglio la verità». Si può perdonare un gesto simile? «Non totalmente – dice Piera Muresu – ma vorrei sapere la verità. Col passare dei giorni ho maturato questa idea: qualcuno gli ha messo in testa qualcosa, qualche pettegolezzo. Ma qualsiasi cosa sia non è mai un motivo per togliere una vita o provare a farlo». «Avrei preferito che fosse ancora vivo – aggiunge – l’avrei voluto guardare in faccia e chiedergli perché. La mattina di quel giorno mi ha detto che aveva deciso di comprare un’auto nuova, ed io ero contenta. L’ho visto rilassato, non avrei mai pensato che la sera potesse fare una cosa simile. Come fai ad aspettarti una cosa simile quando una persona si comporta bene?».

Come in un film. «Non mi ha mai picchiata – sottolinea Piera Muresu – non avevamo litigato e in generale stavamo bene insieme. Ma se hai una pistola vuol dire che hai deciso di usarla, e allora forse sono stata stupida io perché non mi sono accorta di niente. Sai quante volte me lo chiedo? Quanti pianti mi sono fatta? Mi sembra tutto così assurdo, come fossi stata catapultata in un film horror. L’idea che mi sono fatta è che lui volesse ammazzarmi e poi togliersi la vita proprio in quella campagna. Non so darmi altra spiegazione. E ora che lui non c’è più non saprò mai la verità».

Il racconto. Il tentato femminicidio di Piera Muresu è avvenuto nella vallata di Palmiteddu, una zona isolata che si trova a poca distanza dalla chiesta campestre di San Giovanni. «C’ero già stata una volta in quella campagna, non ero preoccupata – spiega la donna –. Ci siamo andati dopo essere passati al cimitero per pulire la tomba di mio fratello e dopo avere comprato le sigarette. Non avevamo litigato, era tutto tranquillo tra noi». È successo tutto in un attimo: «Lui si è avvicinato a un albero e io mi sono inchinata per guardare alcune piante – racconta ancora la 48enne –. In quel momento ho sentito il primo sparo. Mi sono rialzata, non capivo cosa stesse succedendo. Mi sentivo pulsare sul petto, poi ho visto che cominciavo a sanguinare. E subito è partito il secondo sparo, mi ha colpito al collo. Io urlavo chiedendo aiuto, gli dicevo “Perché l’hai fatto, perché?”. Ma lui non rispondeva, ricordo solo che si è messo le mani in testa».

Sangue freddo. A quel punto Piera Muresu si è allontanata a fatica dal compagno. Ma non poteva chiedere aiuto, racconta, perché «Adriano mi aveva preso il cellulare. Ma ho pensato che dovevo farmi forza, salvarmi in qualche modo. E allora ho provato a farlo ragionare, dicendogli di stare calmo, che non era successo nulla e di pensare a mia madre, che aveva già perso due figli. E il suo cuore non avrebbe sopportato di perdere anche me. Ho mantenuto il sangue freddo, l’ho accarezzato e l’ho convinto a portarmi al campo sportivo, dove c’è la sede del 118».

La corsa in auto. I due sono saliti a bordo della Peugeot ed è iniziata la corsa verso il paese. «Nel tragitto non ha detto una parola – ricorda Piera – arrivati al campo sportivo gli ho chiesto “aiutami”, perché non mi reggevo in piedi, e invece appena scesa dall’auto lui è andato via». Piera ha messo uno dietro l’altro i pochi passi che la separavano dal parcheggio delle ambulanze di Sardegna emergenza. E, con le ultime forze, si è aggrappata alla recinzione in attesa che il personale sanitario la soccorresse.

L’appello. Oggi Piera Muresu sarà ospite della trasmissione Porta a Porta, su Rai Uno, dove parlerà con Bruno Vespa della sua storia. «Ho accettato di andare in tv per dare forza a tutte le donne – dice la 48enne – Voglio dire di stare attente, di proteggerci, di non sottovalutare neanche i piccoli segnali. Io ho lottato per salvarmi la vita, tutte dovremmo farlo».

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