La Nuova Sardegna

«Lavoriamo per tenere qui le migliori competenze»

di Roberto Petretto
«Lavoriamo per tenere qui le migliori competenze»

Maria Cristina Messa: numero chiuso in medicina? Nell’immediato futuro rimarrà Dobbiamo conservare un’alta qualità dei corsi e non sovraffollare gli atenei

03 dicembre 2021
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SASSARI. Non appare spesso sui giornali o nei talk: della riservatezza, insieme al lavoro, ha fatto la cifra della sua attività di ministro. Maria Cristina Messa ha le redini di un settore di importanza strategica per il paese, soprattutto in prospettiva futura. Oggi sarà a Sassari e La Nuova Sardegna ha avuto l’opportunità di rivolgerle alcune domande in anteprima.

Ministra Messa, oggi sarà a Sassari per premiare i giovani delle accademie e per incontrare i rettori. Cosa dirà?

«Sono due momenti distinti ma voluti proprio per mettere al centro i giovani. Intorno a loro è stato costruito il Next Generation EU, solo con loro questo piano di ripartenza potrà trovare concretezza e sono loro il motore del sistema dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica che premiamo, un gioiello che vogliamo fare crescere sempre di più perché consente di avere anche una grande visibilità internazionale. Questa Regione ha tante risorse e proprio sulla formazione potrebbe diventare più attrattiva.

Arriva il Pnrr, come potrà migliorare concretamente lo stato della ricerca in Italia?

«Il Pnrr è speculare a quanto abbiamo previsto in legge di bilancio dove, per la prima volta dopo anni di sofferenza, i fondi per università, Afam e ricerca sono consistenti e, soprattutto, crescono nel tempo. Con le misure che rientrano sotto la voce “dalla ricerca al business” del Pnrr vogliamo stimolare la collaborazione tra atenei, enti di ricerca e imprese su specifiche tematiche che riteniamo centrali per lo sviluppo futuro dell’Italia, vogliamo mettere insieme tante realtà di successo che ci sono sul territorio ma troppo slegate tra loro e creare filiere che si mantengano nel tempo, dopo il 2026, filiere che siano realmente inclusive e competitive a livello internazionale. Per la ricerca, poi, ci sono due nuovi fondi nazionali che abbiamo istituito: il Fondo italiano per la scienza dedicato alla ricerca fondamentale, la cui dotazione crescerà negli anni per arrivare a 250 milioni a decorrere dal 2024, e il Fondo italiano per le scienze applicate che arriverà a 250 milioni di euro a partire dal 2025».

Lei ha di recente lanciato un allarme per il settore della ricerca: che correttivi avete in mente?

«Con la legge di bilancio integrata con il Pnrr e con alcune riforme e semplificazioni recentemente approvate, abbiamo posto le basi per un vero salto del settore della ricerca italiano. Ora tocca a tutti gli attori di questo sistema mettersi in gioco. Per i giovani, per fare un esempio, fino al 27 dicembre è aperto il bando per la prima annualità del Fondo italiano per la scienza: sono finanziamenti, da 1 milione e 1 milione e mezzo di euro ciascuno che vanno direttamente al singolo ricercatore, per progetti che possono riguardare tutti gli ambiti, dalle scienze della vita, alle scienze fisiche e ingegneria, alle scienze sociali e umane. Per gli atenei e gli enti di ricerca abbiamo reso più flessibili alcune misure che consentono di aumentare la mobilità e soprattutto abbiamo garantito una continuità nei finanziamenti che permetterà loro di programmare nel medio-lungo termine. Le imprese, poi, sono parte integrante delle grandi progettualità che andremo a finanziare con 6 miliardi del Pnrr per la ricerca in filiera. Direi che strumenti, normativi ed economici, sono in campo, contiamo tutti molto sulla risposta attiva dei giocatori».

Reparti ospedalieri che chiudono, servizi appaltati all’esterno, paesi senza medico: in Sardegna da mesi c’è allarme per la scarsa disponibilità di personale medico. Molti, tra questi il presidente della Regione, vorrebbero che si rivedesse il criterio del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina. Cosa risponde?

«Per me è molto doloroso vedere esclusi così tanti studenti dalle facoltà di medicina perché so bene la passione e il trasporto che si ha verso questa professione. Il numero programmato, però, almeno nell’immediato futuro rimarrà: dobbiamo mantenere alta la qualità dei corsi, evitare il rischio di sovraffollamento degli atenei e, soprattutto, non possiamo permetterci di formare professionisti che, non avendo sbocchi lavorativi adeguati, alla fine vanno all’estero. Quest’anno, comunque, abbiamo aumentato a 14.000 i posti disponibili per l’accesso alla laurea in medicina e chirurgia e abbiamo ridotto parecchio, se non completamente eliminato, l’imbuto per le scuole di specializzazione. Restano però alcuni nodi che, per essere risolti, devono vedere l’impegno di tutta la società e non solo del sistema della formazione terziaria: il fatto che negli ultimi 10 anni circa 9.000 medici hanno abbandonato l’Italia, che alcune specialità, come medicina di urgenza, non sono più attrattive come lo erano in passato, che gli stipendi di medici e medici-ricercatori nel sistema pubblico non sono competitivi con quelli del privato e con gli altri Paesi europei, che l’attrattività di un posto di lavoro è data anche dai servizi offerti dal territorio nel quale si trova».

Anche chi spinge per lo stop al numero chiuso ha chiaro che la misura non risolverebbe l’emergenza. Cosa si può fare allora nell’immediato?

«Quello su cui, come ministero, stiamo lavorando è il percorso di accompagnamento per i giovani per un diverso orientamento, per proporre nuove forme di autovalutazione che possano iniziare dal terzo o quarto delle superiori. La Sardegna è una terra piena di interessi, soprattutto per i giovani: possiamo aumentare gli studenti di medicina, ma per attrarli e trattenerli questo sforzo deve essere affiancato da politiche complessive, che valorizzino al massimo le migliori competenze e consentano di accogliere con i migliori servizi possibili i medici e le loro famiglie».

Lei ha sempre manifestato attenzione per un potenziamento delle attività di orientamento: cosa si sta facendo in questo senso?

«L’orientamento è uno degli elementi fondamentali, su cui stiamo lavorando anche con il ministero dell’Istruzione, ma è da ripensare profondamente e modificare. Deve essere riorganizzato – e per l’inizio del prossimo anno accademico avremo una nuova proposta – per aiutare i ragazzi a scegliere, a valutarsi in modo diretto, a comprendere se la vocazione che pensano di avere possa essere portata avanti con soddisfazione. Orientare non significa solo fornire loro l’elenco delle possibilità di studio presenti in Italia, ma garantire a tutti gli strumenti per fare in modo che la scelta su cosa fare dopo le superiori sia quella giusta per ognuno, come futuro professionista e come persona nella società. Sarà un nuovo orientamento che si legherà, inevitabilmente, alle riforme che stiamo attuando sui corsi di laurea più aperti, flessibili e interdisciplinari per fare in modo che la domanda di competenze che avanza oggi il mondo del lavoro trovi un’offerta sempre più adeguata e dovrà includere anche una parte di orientamento al lavoro».

I ragazzi sardi hanno ripreso ad andare via dall’isola. Cosa si può fare per trattenerli?

«Per ridurre gli abbandoni di diversi territori bisogna allineare l’offerta formativa con la domanda. Questa è una cosa che si può e si deve fare sia a livello nazionale che regionale. Dobbiamo creare un forte legame fra accademia e mondo del lavoro per dare indirizzi e prospettive concrete ai giovani che decidono di investire sulla propria formazione. Ogni professionista è prima di tutto una persona che chiede di vedere riconosciuta, anche economicamente, la propria competenza. Bisogna fare sistema anche su questo».

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