La Nuova Sardegna

La fuga dal Congo in rivolta e la nuova vita in Sardegna

Gian Carlo Bulla
La fuga dal Congo in rivolta e la nuova vita in Sardegna

Il “re” degli agrumi racconta i suoi 88 anni spericolati e l’amore per l’Isola

17 gennaio 2022
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MURAVERA. Jacques Jean Piedboeuf continua a gestire l’azienda agricola che ha messo su, con fatica, nei primi anni Sessanta del secolo scorso. A 88 anni, li festeggerà il primo febbraio, racconta di non essersi mai pentito di essere venuto in Sardegna «che considero la mia terra di adozione e dove mi sono sempre trovato benissimo. Tanto che in Sardegna, a Cagliari, è nato il mio unico figlio, Jean Bernard, che purtroppo ora non c’è più». Piedboeuf è uno dei più grossi produttori di agrumi dell’isola e ha una storia assolutamente straordinaria. «Sono il secondogenito dei tre figli di Ines e Charles. Sono nato il 1 febbraio del 1934 nel Congo Belga, a Jadotville, l’attuale Likasi, una città della provincia dall’Haut Katanga che si trova a una ventina di chilometri dalla miniera di Shinkolobwe dalla quale si estraeva rame e cobalto e dove mio padre, ingegnere, lavorava. Ho frequentato la facoltà di scienze agrarie dell’università cattolica di Louvain, la più antica dei Paesi Bassi, e poi mi sono sono sposato con Marie Antoinette. Dopo le nozze siamo tornati nel Congo Belga dove ho trovato lavorato come direttore in due piantagioni che producevano caffe e the. Alla fine del 1959 la situazione nel Congo è precipitata con la proclamazione dell’indipendenza avvenuta il 30 giugno del 1960. Il Paese è diventato una vera e propria polveriera, in balia di bande armate che seminavano il terrore».

Nel febbraio del 1961 fummo costretti a lasciare l’Africa e a ritornare in Belgio. Delusi, stavamo già programmando di emigrare in qualche Paese dell’America del Sud quando un amico di mio padre mi convinse a recarmi in Sardegna con l’incarico di trovare, nella zona del Sarrabus, terreni da acquistare per suo conto e di altri profughi dall’ex Congo Belga. Tramite l’ambasciata in Italia riuscii ad avere dei contatti con funzionari dell’assessorato regionale all’Agricoltura che si dimostrarono molto disponibili, furono prodighi di consigli e mi dettero una grossa mano. Ma il mio compito non fu facile perché all’inizio nessuno era propenso a vendere e inoltre le proprietà erano molto frazionate. Poi, tramite i buoni uffici di un perito agrario della zona, Benito Follesa, sono riuscito a trovare i primi proprietari disposti a cedere le loro terre. Negli anni riuscimmo ad acquistare una buona parte dei terreni, tutti incolti e degradati, tra Piddia e Monte Acuto, ubicati nella vallata alluvionale del rio Picocca. Bonificammo la zona, realizzammo pozzi artesiani e canali per l’irrigazione e, così come ci consigliarono, li impiantammo ad agrumi. Come rifugiati ricevemmo un incentivo dal governo belga e un contributo dalla regione Sardegna. Contestualmente il Consorzio di bonifica della Sardegna meridionale realizzò l’elettrificazione rurale. Erano tempi davvero pionieristici».

«Il primo a scommettere sugli agrumi – continuaPiedboeuf – fu il mio amico Robert Marchal, a Mardexiu, in una zona prevalentemente paludosa. Poi sono arrivato io a Piddia e poi gli altri. Io ho impiantato inizialmente Clementina e Washington, poi Navelina, Tarocco comune e Meli (Tarocco tardivo). Il mio agrumeto ha cominciato a produrre alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Nel 1971 il mio sogno sembrava già al capolinea per colpa di un’alluvione che colpì il Sarrabus ha provocando danni gravissimi. Per fortuna gli eucaliptus che avevo impiantato come frangivento riuscirono a smorzare l’impeto dell’acqua del rio Picocca. L’alluvione che nell’immediato aveva causato danni ingenti compromettendo la produzione per almeno un biennio, negli anni seguenti ha apportato imprevedibili benefici rendendo molto più fertili i terreni».

Oggi l’azienda di Jacques Jean Piedboeuf ha una estensione complessiva di 24 ettari ed è una meraviglia di colori, Soprattutto in questa stagione. «Inizialmente erano una decina – racconta Jacques Jean –. Negli anni sono riuscito a ingrandita. Ho rilevato due aziende che avevo contribuito a creare e che erano state messe in vendita da altri due ex rifugiati del Congo Belga. E poi altri terreni. Attualmente la produzione media, perchè anche le piante sono diventate vecchie, è di 100 quintali per ettaro. Negli anni d’oro, tra il 1980 e il 1990, la produzione arrivava al doppio. Vendevo tutto a grossisti siciliani che rifornivano il mercato ortofrutticolo di Modena da dove partivano per il resto del Paese. Attualmente il prezzo è crollato nonostante il nostro prodotto resti tra i più pregiati in commercio. I mercati sono invasi dagli agrumi prodotti in Spagna, Portogallo, Marocco, Tunisia, Egitto e venduti a prezzi stracciati». Una concorrenza dura che però non piega Piedboeuf «Ho sempre amato il mio lavoro che mi impegna e mi tiene occupato. Non saprei cosa fare senza la campagna. E continuerò ad andare avanti fino a quando le forze me lo consentiranno. Poi saranno i miei quattro nipoti (Antoine, Adrien, Gregoire e Lavinia) a decidere cosa fare quando non ci sarò più. A essi lascerò in eredità anche il mio amuleto portafortuna dal quale non mi sono mai separato: è il ferro che ricopriva lo zoccolo di uno degli asinelli che venivano utilizzati per trainare i carretti che ho trovato nel porto di Cagliari la prima volta che ho messo piede in Sardegna. Mi ha portato bene, come questa terra».

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