La Nuova Sardegna

Per bar e ristoranti è un nuovo lockdown

di Silvia Sanna
Per bar e ristoranti è un nuovo lockdown

La crisi continua, tra contagi e rincari. Già persi 30mila posti, sos al Governo

18 gennaio 2022
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SASSARI. Il calendario sembra avere fatto marcia indietro, a quei giorni pieni di timore post lockdown. Era la primavera del 2020, c’era tanta voglia di ripartire e anche di assaporare la libertà ritrovata con un caffé al bar o una cena al ristorante. Ma l’incertezza sul Covid, con la campagna vaccinale ancora lontana, invitava alla prudenza. Oggi, quasi due anni dopo, per bar e ristoranti la storia si ripete. Dopo avere perso quasi la metà del fatturato complessivo e oltre 500mila posti di lavoro, di cui 30mila in Sardegna, il settore è di nuovo in piena emergenza, messo in ginocchio dalla “tempesta perfetta”: clienti decimati da boom di contagi e quarantene, timore di infettarsi, smart working, dipendenti costretti a casa dal Covid, rincaro alle stelle delle materie prime e infine obbligo di super greenpass anche all’aperto. La conseguenza sono locali semi vuoti, pioggia di disdette anche all’ultimo minuto, attività che chiudono e mandano a casa, a malincuore, i dipendenti. Una situazione gravissima che ha spinto Confcommercio e Confesercenti a lanciare un appello al Governo e alla Regione: servono subito ristori, altrimenti sarà la fine, con un nuovo e questa volta volontario lockdown.

Sos dall’isola. In una lettera inviata ai ministeri del Lavoro e del Turismo, Fipe Confcommercio chiede che i pubblici esercizi siano compresi nel prossimo decreto di sostegno del governo a favore delle realtà in crisi. Lo fa alla luce del “dicembre peggiore di sempre”, che ha azzerato i deboli sussulti di ripresa autunnali: in tempi normali dicembre valeva da solo, soprattutto per i ristoranti, il 10% del fatturato annuale, invece si è chiuso con un pesante segno meno. «Ecco perché servono ristori subito, così come moratorie su mutui e prestiti – dice Nando Faedda, presidente regionale di Confcommercio – per garantire ai dipendenti la cassa integrazione. Non c’è tempo da perdere, l’alternativa in moltissimi casi è licenziarli, perché nessuno può permettersi di pagare lo stipendio se l’attività non va. Il settore è allo stremo, dopo due anni terribili – a parte le brevi pause estive – la ripartenza non c’è stata. Anzi il 2021 si è chiuso malissimo e il 2022 è cominciato allo stesso modo: pochi, pochissimi clienti e moltissime disdette. Non solo: personale positivo, dunque in isolamento, o in quarantena preventiva, con tutti i costi che ricadono sui titolari». C’è già chi ha attuato le contromisure: apertura solo a cena, chiusura una o due sere a settimana, niente caffè al bar la domenica pomeriggio, se ne riparla il lunedì.

Guadagni dimezzati. «Gennaio è sempre un mese in cui si lavora poco, infatti molte attività nel campo della ristorazione restano chiuse. Chi continua ad offrire un servizio, soprattutto i locali a conduzione familiare, sta affrontando forse il periodo più complesso da quanto è iniziata la pandemia». Enrico Daga, imprenditore e vicepresidente regionale di Confesercenti con delega ai pubblici esercizi e turismo, parla di un lockdown non politico ma reale: «I clienti sono spariti. La situazione generale, con il numero di positivi che cresce ogni giorno e fa lievitare casi di isolamento e quarantene, genera timore diffuso: anche chi andava abitualmente al bar a fare colazione o il fine settimana si concedeva una cena al ristorante, per prudenza resta a casa. All’esterno è impossibile offrire un servizio per via delle temperature rigide dell’inverno e gli spazi chiusi provocano ansia. Il risultato di tutto questo è un calo medio dei fatturati stimato intorno al 50% rispetto al periodo preCovid».

Prezzi su. A complicare il quadro si sono aggiunti i rincari: le bollette dell’energia elettrica e del gas sono schizzate, le materie prime hanno costi esagerati e i rifornimenti arrivano a singhiozzo. «Molte attività sono state costrette ad aumentare i prezzi, per esempio del caffé e del cappuccino al bar – dice Daga – in Sardegna si cerca di resistere e solo pochi hanno ritoccato il listino. Un ulteriore sacrificio per tenersi stretti i clienti rimasti e sperare che ritornino anche gli altri, spariti per via dell’emergenza sanitaria. Ma la corda non si può tirare troppo a lungo: se si dovesse spezzare a farne le spese saranno prima di tutto i dipendenti, che perderanno il lavoro».

Rimborsi in ritardo. La Confcommercio e la Confesercenti suonano la sveglia al Governo sui ristori ma anche alla Regione: le imprese del settore attendono ancora i rimborsi previsti dai bandi per l’allungamento della stagione. «Chi ha assunto personale per tenere le attività aperte oltre i mesi canonici, ha diritto a ricevere le somme stanziate dalla Regione – dice Daga – Le graduatorie sono state fatte ma i soldi ancora non si vedono: all’appello mancano le annualità 2019 e 2020». Una iniezione di fondi che in questo momento sarebbe provvidenziale per le casse a secco, benzina indispensabile per andare avanti in attesa che passi la tempesta.

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