La Nuova Sardegna

Raimondo: «Dissero che era nato morto, so che il mio gemello è vivo»

Raimondo: «Dissero che era nato morto, so che il mio gemello è vivo»

24 gennaio 2022
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SASSARI. Era stata l’ostetrica a convincerla a non partorire in casa, perché sicuramente uno dei gemelli che aspettava sarebbe nato con gravi malformazioni, probabilmente non sarebbe sopravvissuto. Le spiegò che durante un controllo – l’ecografia al tempo non si faceva – era certa di avere procurato un danno agli occhi a uno dei bambini. Nel sentire queste parole la signora Maria Pilu, di Bono ma residente a Sassari, accettò di farsi ricoverare nella clinica privata Sant’Anna, in viale Mameli a Sassari. E lì il 29 novembre del 1959, partorì dopo il taglio cesareo due maschietti per i quali aveva già scelto i nomi: Giovanni e Raimondo, Pilo il cognome. Ma uno dei due la signora Maria non potè mai abbracciarlo, perché l’ostetrica le disse che – come lei stessa aveva previsto – era nato morto. «Non glielo fecero neppure vedere, nonostante le ripetute richieste – racconta la nuora Vilma, moglie del gemello “sopravvissuto” – mia suocera per tutta la vita pensò che le avessero detto una bugia, che il bimbo fosse nato vivo e che fosse stato affidato a un’altra famiglia. Morì nel 2013 con questo grande dolore». Oggi Vilma, insieme al marito «ha entrambi i nomi, Raimondo e Giovanni, tutti lo conoscono come Raimondo ma in famiglia lo chiamiamo Gianni» vuole andare a fondo di questa storia «per capire se l’ostetrica e i medici della clinica dissero la verità oppure se mio marito ha un fratello gemello chissà dove». Per questo qualche giorno fa ha pubblicato un appello sul gruppo Facebook “Ti cerco”, nel quale racconta la storia e chiede aiuto. I dubbi sono tantissimi. Il primo è legato «all’insistenza dell’ostetrica, che convinse mia suocera ad andare in clinica, facendo leva sulla sua ignoranza e sul fatto che in precedenza aveva già avuto un aborto e dunque era spaventata. Ma la stranezza maggiore è un’altra. Quando si risvegliò dal cesareo e la portarono in stanza, mia suocera ricevette gli auguri e le congratulazioni delle compagne di stanza. Le dissero “complimenti, hai avuto due bimbi bellissimi”, aggiunsero che uno aveva pesato 3 chili e duecento grammi e l’altro 3 quattrocento. Lei era felice e rimase scioccata quando l’infermiera entrò in stanza con un solo bambino. E l’altro? «Non ce l’ha fatta. Non ci pensare, sta bene dove sta». Lei insisteva, pregava di farglielo vedere, almeno per salutarlo e accompagnarlo al cimitero: l’ostetrica e il medico scuotevano la testa «pensi a riprendersi, vada avanti». E così il marito: «Mio suocero aveva lo stesso atteggiamento. Alla moglie diceva cose del tipo “non ci pensare”, “sta meglio dov’è” e chiudeva il discorso». Ma una insolita disponibilità economica nei giorni immediatamente successivi al parto, insospettì Maria: «La loro famiglia era umile, mio suocero faceva il portantino alla stazione – dice Vilma – improvvisamente iniziò ad avere soldi. Mia suocera pensò che qualcuno glieli avesse dati in cambio del bambino e che lui l’avesse dato in adozione forse per garantirgli un futuro migliore. Ma mio suocerò negò sempre». Nella testa di Maria rimase un chiodo fissò «e nel 2013 chiuse gli occhi pensando a quel figlio che le era stato strappato. Anche mio marito ha sofferto molto, vive con la sensazione di essere stato privato di una parte di sé, del gemello, più di un fratello. Faremo il possibile per scoprire la verità, attraverso il Comune e gli archivi. Ma confidiamo che chiunque ricordi o sappia qualcosa di quel giorno, il 29 novembre 1959, ci aiuti». (si. sa.)

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