La Nuova Sardegna

Quei colpi terribili e letali sferrati con una mazza

di Enrico Carta
Quei colpi terribili e letali sferrati con una mazza

L’autopsia conferma che la vittima è stata colpita quattro o cinque volte L’effetto è stato devastante e la morte di Daniela Cadeddu quasi istantanea

07 febbraio 2022
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ZEDDIANI. L’arma del delitto è una mazza. Non è un martelletto di quelli che si usano per mettere i chiodi sul muro di casa e appendere un quadro. L’arma del delitto usata da Giorgio Meneghel è un grosso arnese da lavoro, simile a quelli che usano i fabbri per dare forma il ferro incandescente sull’incudine o come le mazze che operai e muratori tengono con due mani per spaccare le pietre di grosse dimensioni. Quella mazza, sabato mattina, ha colpito il cranio di Daniela Cadeddu, la moglie dell’agricoltore di 53 anni che, sempre da sabato, è in una cella del carcere di Massama. È lì, guardato a vista perché si teme un gesto estremo, che il reo confesso dell’assassinio della donna originaria di Cabras attende l’interrogatorio che si svolgerà questa mattina davanti alla giudice per le indagini preliminari e alla presenza del pubblico ministero Sara Ghiani e dell’avvocatessa Irene Gana, che assiste l’indagato.

Chi invece non ha avuto nessuno al suo fianco a proteggere la sua vita né ha potuto difendersi è la vittima, colpita quando era avvolta dal sonno ancora intenso delle prime ore del mattino. Ieri l’autopsia, affidata al medico legale Roberto Demontis e alla sua equipe ha levato ogni dubbio, se mai potessero essercene. A non lasciare scampo a Daniela Cadeddu sono stati quei pochi colpi di mazza alla testa – tre, fose quattro o al massimo cinque –, scagliati con una violenza tale da fratturare le ossa del cranio in più punti e da cancellare le forme del viso.

Anche sull’ora del delitto sarebbero arrivate conferme sempre dall’autopsia: il decesso è avvenuto pochi istanti prima della chiamata ai carabinieri, attorno alle 7 del mattino. L’unico infinitesimale dettaglio che lascia almeno un raggio infinitesimale di luce, in una storia nero pece, è il fatto che Daniela Cadeddu non sarebbe rimasta agonizzante a lungo. Dovrebbe essere morta quasi all’istante, tale è stata la forza con cui la mazza è stata usata. Potrebbe quasi non essersi accorta di quella violenza che, nel giro di qualche secondo, ha cancellato tutti gli anni di vita che aveva davanti a sé.

L’indagine però non è finita. La casa di via Roma, strada principale del paese, resta sotto sequestro. È lì che ci sono tutte le tracce di cui hanno bisogno gli inquirenti per ricostruire nel dettaglio quanto accaduto dentro la stanza dell’orrore. L’esame del medico legale avrebbe dato sinora conferme alla versione fornita da Giorgio Meneghel ai carabinieri, ai quali non solo ha confessato il delitto, ma avrebbe anche descritto il modo in cui l’avrebbe compiuto. Sono parole che ora si cerca di verificare tramite i riscontri degli elementi raccolti dal Reparto investigazioni scientifiche che hanno esaminato le macchie di sangue, raccolto impronte e elementi biologici sulla mazza usata per colpire. Sembrano dettagli, diventano invece elementi fondamentali per quando si arriverà al processo, quando bisognerà mettere sul piatto della bilancia della giustizia ogni particolare per stabilire poi una pena da dare al colpevole dell’omicidio di una donna con gli occhi chiusi, la testa poggiata sul cuscino che in un attimo è diventato rosso.

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