La Nuova Sardegna

Mangimi, è allarme rosso in Sardegna: scorte di cereali per 2 mesi

di Antonello Palmas
Mangimi, è allarme rosso in Sardegna: scorte di cereali per 2 mesi

Per le materie prime l'isola dipende all’ottanta per cento da Russia e Ucraina 

06 marzo 2022
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SASSARI. Succede che la Sardegna agricola sta subendo suo malgrado le conseguenze del conflitto in atto nell’est europeo e rischia il tracollo. Sino a qualche settimana fa dipendere in maniera così forte da Ucraina e Russia per il fabbisogno di cereali per i mangimi destinati agli allevamenti (per l’80%) non era un problema. Poi l’aggressione militare di Putin ha cambiato le prospettive per le aziende che commercializzano i prodotti e per decine di migliaia di aziende zootecniche. Che con il blocco del Mar Nero non sanno più cosa dare da mangiare al bestiame e si preparano al peggio. C’è mangime forse per altri due mesi. C’è chi ipotizza di macellare o provocatoriamente di liberare gli animali.

«Gentili clienti, vi comunichiamo che, a causa della situazione emergenziale a livello mondiale, dovuta alla crisi militare in Ucraina, nelle prossime settimane non saremo in grado di fornirvi...» e giù un elenco di prodotti, dai piselli all’orzo. Sono diversi i messaggi mandati dai mangimifici sardi e che hanno gettato nel panico le campagne. Perché ciò che sinora solo si temeva si sta purtroppo realizzando. Gian Mario Chessa, sindaco di Giave e titolare del Mangimificio Chessa, tra le realtà leader del settore nell’isola, descrive una situazione assolutamente inimmaginabile poco tempo fa: «Abbiamo contratti per grosse partite di cereali, farine di girasole, polpa di barbabietola, piselli, mais – spiega – provenienti dal Mar Nero, dove si carica parecchio, specie da Odessa. I maggiori produttori sono infatti Russia e Ucraina. Ma per causa di forza maggiore su questi accordi i fornitori sono inadempienti».

Che fare? Due giorni fa Chessa è corso ai ripari: «Ho acquistato 1.000 tonnellate di mais da Ravenna, ma pagandolo quasi 8 euro in più a tonnellata rispetto a quello dell’est, da 28 a 36 euro (fanno 8.000 euro in più in totale, ndc). E poi c’è il trasporto: da Ravenna ci costa 5 euro a quintale, mentre prima lo pagavamo 1,60 euro. Quindi la differenza è sostanziale, e va a finire a carico dell’allevatore». Ma non solo: «Considerato che c’è carenza, stiamo avvisando gli allevatori nostri clienti abituali che non vendiamo il prodotto “tal quale” per evitare che le scorte di mangimi finiscano troppo in fretta, ma solo già miscelato». Lo scopo è resistere più tempo possibile in attesa di trovare altri sbocchi. «Per ora i nostri clienti fidelizzati li stiamo servendo, ma a quelli nuovi – dice Chessa – a malincuore dobbiamo dire di no. Credo che anche altri si stiano muovendo allo stesso modo».

Il problema è che le aziende agricole hanno assoluto bisogno di questa merce per nutrire gli animali e comunque vanno in sofferenza per l’aumento dei prezzi considerato che il costo del latte al litro resta lo stesso. E i loro problemi si ripercuotono anche si mangimifici, in un giro infernale: «In questa situazione – spiega l’imprenditore – c’è il rischio che non riusciamo a incassare i crediti. Dopo gli aumenti già noti legati ai costi energetici, ora si rischia il disastro».

Ma i problemi non si fermano qui e rischiano di propagarsi nel tempo. «Se anche questa situazione bellica si risolvesse in tempi ragionevoli – dice Chessa – il rischio è che non ci sia stata la semina: il prossimo anno potrebbe non esserci raccolto. In tal caso saremmo costretti a rivolgerci ad altri mercati, a prezzi ancora più esorbitanti». Il mangimificio di Giave aveva un po’ di scorte di magazzino, «ma stanno finendo, noi lavoriamo 7-8000 quintali al giorno e se non arrivano le materie potremmo doverci fermare. E dover mandare dipendenti in cassa integrazione. Sto aspettando dalla Francia (che per ora sta riuscendo a rispettare i contratti già sottoscritti) un cargo-line di orzo da 1.500 tonnellate, ma lo avevo ordinato a gennaio-febbraio. Se lo chiedi ora non è disponibile. Stiamo trattando dal Canada una nave di mais da 20mila tonnellate da dividere, ma non ci sono certezze. E gli altri prodotti vengono in gran parte dal Mar Nero, dove per cause di forza maggiore hanno annullato tutti gli ordini. In Sardegna ci riforniamo quasi tutti da lì». Quanto tempo si può resistere in queste condizioni? «Potremmo lavorare ancora sino ad aprile».

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