La Nuova Sardegna

Mio bisnonno, Bartali e i nazisti - LA TESTIMONIANZA

Matteo Porru
Mio bisnonno, Bartali e i nazisti - LA TESTIMONIANZA

Il racconto di chi si salvò quasi per caso dalla deportazione

26 aprile 2022
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«Non è iscritto al partito fascista»: il mio bisnonno Ilio di questa frase andava orgoglioso. Gliel’avevano scritta con disprezzo, e pure sottolineata, in rosso e poi in blu, sul libretto da lavoro della Montecatini. Lo ripeteva ogni 25 aprile e mi raccontava una storia, sempre la stessa, aggiungendo di anno in anno un dettaglio, e io tutte le volte lo ascoltavo e gli toglievo le rughe e la voce roca e lui tornava il ragazzone di Follonica con tanto cuore e tanta testa.

Sono le sei e venti di un giorno come tanti, nonno finisce il turno da caporeparto officina. Saluta i colleghi, che restano a parlare e gli dicono di fare compagnia, ma lui deve tornare, perché nel granaio in cui abita insieme ad altri sfollati c’è sua moglie che lo aspetta e una bimba a cui trovare un nome. Sale in bici e corre via. Per arrivare a casa, c’è un cavalcavia, lo percorre ogni giorno da anni e, mentre pedala, intravede il riflesso di Venezia sull'acqua, e le nuvole si abbassano e galleggiano, e ogni volta gli sembra una magia. Ma non questa. Perché proprio in quel punto c’è una pattuglia che lo fissa e poi lo ferma. Nonno frena e non sa che cosa ci sia di strano, sa solo che sono le sei e venti dell’otto settembre e che quella non è polizia. Gli chiedono i documenti e il tizio che glieli strappa di mano si mette gli occhiali e parla in tedesco. Ilio Bartoli, c’è scritto, caporeparto officina, non è iscritto al partito fascista. Ma il militare legge male. «Bartali! Tu Bartali?» e mima la bici. Mio bisnonno capisce tutto o quasi. Ha i fucili dei soldati vicino, se li sente addosso. E risponde a tono. «Sì! Io cugino!» e fra i tedeschi compaiono i sorrisi. Gli si avvicinano e gli stringono la mano. Nonno sta al gioco, quella bici è il suo talismano. Ride e sfodera l’accento toscano che non ha mai perso. I militari lo fanno passare. «Vai, prego, saluta cugino!».

I colleghi arriveranno venti minuti più tardi. Torneranno a casa in due, ma un anno dopo, segnati per sempre dall’inferno in cui sono stati deportati. Oggi l’avrebbe raccontata ancora, nonno, con altri dettagli speciali, e ancora avrebbe cercato di capire cosa lo abbia salvato: la bici, avrebbe detto ancora, e avrebbe sorriso pensando a quanta gente ha aiutato il vero Bartali, sui suoi pedali.

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