La Nuova Sardegna

Lo shopping immobiliare non rianima i centri storici sardi

Roberto Petretto
Lo shopping immobiliare non rianima i centri storici sardi

Case acquistate da turisti restano chiuse a lungo. Ma ci sono eccezioni positive 

06 maggio 2022
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SASSARI. Finestre chiuse per gran parte dell’anno: le luci dei centri storici rimangono spente in case che, quando non sono abbandonate e in rovina, sono proprietà di persone arrivate da lontano, dalla penisola o addirittura da altre nazioni, che hanno visto nelle costruzioni antiche dei nostri paesi e delle nostre città un’occasione di investimento a costo abbordabile. “Case trofeo” le ha definite in un’intervista al Corriere della Sera l’architetto Renzo Piano. Case «acquistate da miliardari che magari ci vengono una volta ogni due anni. Il punto è riportare in centro chi ama la musica, i libri, la pittura, costruendo auditorium, centri di ricerca, musei. E anche riportare in centro il lavoro, l’artigianato, la scienza, i mestieri d’arte».

In questo senso in Sardegna gli esempi, virtuosi e meno, abbondano. Spesso l’attività delle amministrazioni si ferma (quando le risorse lo consentono) a interventi infrastrutturali: risanamento degli spazi pubblici, realizzazione di servizi e sottoservizi, posa della fibra ottica. Insomma, tutto quello che serve per rendere più piacevole e appetibile un quartiere di una città o di un paese. Ma spesso gli interventi infrastrutturali e urbanistici non bastano a riportare gli abitanti nei quartieri antichi. Ecco quindi che il suggerimento di Piano si ferma di fronte a limiti di visione degli amministratori o a limiti burocratici che impediscono la realizzazione dei progetti di amministratori più lungimiranti.

Ma ci sono anche gli esempi preziosi, iniziative a volte pubbliche, più spesso private, che riportano la vita culturale, sociale, economica nei centri storici. In queste pagine raccontiamo due storie simbolo. Quella di Mores, dove un gruppo di ragazzi ha creato dal nulla un interessante e apprezzato museo. Quella di Bosa dove, forse più che altrove, si può avere la percezione di un centro storico spopolato dopo lo shopping immobiliare di turisti che quelle finestre le aprono solo pochi giorni all’anno.

Trovare ricette efficaci non è semplice, anche perché i problemi sono tanti. L’architetto Stefano Boeri, che la Sardegna la conosce bene, in un’intervista alla Nuova, un anno fa, avevo detto tra le altre cose: «Ci sono alcuni straordinari piccoli centri in Sardegna già investiti dallo spopolamento e altri che vivono questo fenomeno in modo avanzato. Per ripopolarli bisogna lavorare sulla banda larga, che deve arrivare ovunque. E poi sulla accessibilità. Non ce lo nascondiamo: il collegamento ferroviario in Sardegna è una follia. Se l’isola avesse una rete ferrata efficiente, con nodi ferroviari da cui si possa accedere con facilità riducendo i tempi, questo sarebbe un aiuto enorme ai piccoli».

C’è poi il quadro urbanistico, che in Sardegna è ancora zoppicante, con norme a volte bocciate dal governo, a volte annunciate e non ancora realizzate. Si naviga un po’ a vista, con la speranza che le belle realtà in cui capita di imbattersi non siano più rarità, ma una buona prassi diffusa.

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