La Nuova Sardegna

«Ho salvato il Vaticano: avrebbe perso tutto»

«Ho salvato il Vaticano: avrebbe perso tutto»

Deposizione del finanziere Raffaele Mincione davanti ai giudici della Santa Sede. «Il cardinale Becciu voleva investire in Angola e sarebbe stato un disastro»

09 giugno 2022
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CITTÀ DEL VATICANO. «L'investimento a Londra era senz'altro più “conservative” per la Segreteria di Stato rispetto al progetto petrolifero in Angola. Con questo era chiaro che avrebbero perso tutto. Visto anche l'andamento del petrolio sarebbe stata la tomba finale». E’ stato molto deciso il finanziere Raffaele Mincione, in aula nel processo in Vaticano sui fondi della Segreteria di Stato, rivendicando la bontà del suo operato prima come “advisor” nel progetto Falcon Oil caldeggiato dal cardinale Angelo Becciu, per l'estrazione petrolifera in Angola, che lui stesso fece bocciare rilevando la mancanza di garanzie finanziarie, e poi proponendo l'ingresso nella proprietà del palazzo di Sloane Avenue. Nella ventunesima udienza nell'Aula polifunzionale dei Musei Vaticani si è concluso l'interrogatorio, iniziato lunedì, di Mincione, che deve rispondere di peculato, truffa, abuso d'ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio.

Rispondendo alle domande prima del promotore di giustizia Alessandro Diddi, poi delle parti civili e della difesa, il finanziere operante a Londra ha riferito dapprima della sua conoscenza dal 2017 dell'altro broker Gianluigi Torzi - cui la Segreteria di Stato ricorse l'anno dopo per uscire dal fondo Gof (Global Opportunity Fund) di Mincione -, del fatto di non avere quasi avuto mai contatti col cardinale Becciu, ma soprattutto delle fasi con cui si arrivò nel novembre 2018 al passaggio delle quote di Sloane Avenue 60 al nuovo fondo creato da Torzi, il “Gutt”.

«Io avevo sempre saputo che la Segreteria di Stato voleva vendere il palazzo, non mi era stato mai detto che volesse comprarlo – ha ricordato –. All'inizio si era creato un malessere per l'esistenza del lock up (il vincolo all'investimento di cinque anni più due). Le pressioni sono aumentate tra il gennaio e il marzo del 2018. Poi si sono fatte ancora più forti in giugno». Tant'è vero che l'investimento previsto di 100 milioni di sterline per ristrutturare e valorizzare il palazzo, e portarne il valore a 350 milioni, non è stato mai fatto. «Tutto il mercato sapeva che alla fine volevamo venderlo a quella cifra», ha sottolineato. Nel frattempo un'offerta di vendita venne fatta da Luciano Capaldo - socio di Torzi e poi consulente della Segreteria di Stato - allo sceicco Salah, poi tramontata. Intanto Mincione è coinvolto nella scalata alla Carige, congelata da Bankitalia. E tramite Torzi gli arrivano segnali non positivi dalla Santa Sede: «In Vaticano non ti amano», gli spiega chiaramente Torzi. «Ma non preoccuparti – gli dice ancora mentre si sta già elaborando l'alternativa –. Ti faccio un favore. Divento io il frontman. Mi prendo la gestione dell'immobile».

E in effetti è quello che vuole la Segreteria di Stato, tramite l'Ufficio amministrativo di monsignor Alberto Perlasca, che delega direttamente Torzi come proprio mandatario per rilevare l'immobile di Sloane Avenue. L'agreement si raggiunge tra il 20 e il 22 novembre. E quando la cosa viene comunicata a Mincione in una riunione a Londra presso l'ufficio di Torzi - presenti anche Tirabassi, Enrico Crasso e Manuele Intendente - per lui è una storia che si chiude. «Pensavo, mi portano via una cosa che io avrei voluto tanto sviluppare – ha raccontato –. Mi dicono che c'è l'intenzione di prendere tutte le quote del palazzo e trasferirle a Torzi come gestore. Io affido la cosa al mio ufficio legale che a sua volta incarica lo studio Herbert-Smith. E da allora non me ne sono più voluto occupare. Potevo anche far valere il lock up e trattenere le quote, ma non l'ho fatto».La sua contropartita è stata di 40 milioni di sterline. Con la certezza, però, ha rivendicato ancora Mincione, che uscendo in anticipo dalla gestione dei cinque anni più due, rinunciando a fare i lavori già autorizzati e poi vendere il palazzo, e successivamente con la pubblicità data allo scandalo a livello mondiale, la Segreteria di Stato sia stata la causa delle sue stesse perdite.

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