La Nuova Sardegna

L’intervista

Clini: “Eolico e solare sono inevitabili, ma alla transizione serve il fossile”

Roberto Petretto
Clini: “Eolico e solare sono inevitabili, ma alla transizione serve il fossile”

L’ex ministro dell’Ambiente: «La Sardegna paga anni di politiche energetiche sbagliate»

05 luglio 2022
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Si moltiplicano le richieste per insediamenti per la produzione di energia nell'isola e nei mari che la circondano. Le comunità locali, salvo rare eccezioni (come il sindaco di Olbia) solitamente osteggiano questi progetti mentre il governo centrale non ha mai fatto mistero di voler accelerare sulle energie rinnovabili. Come si esce da questo eterno duello?  Corrado Clini, del ministero dell’Ambiente ora guidato da Roberto Cingolani, è stato prima direttore generale e poi ministro. La sua posizione nel dibattito sull’energia in Sardegna non sarà forse molto popolare: «Se mi chiede della situazione sarda parto da una storia di una decina d’anni fa: un’impresa italiana che aveva sviluppato un progetto per produrre energia con gli specchi solari, finanziato da un gruppo giapponese. Voleva realizzare l’impianto in Sardegna, ma la Sardegna disse no. Furono sollevate obiezioni assolutamente inconsistenti dal punto di vista tecnico. 10 anni fa sarebbe stata una grande opportunità, sarebbe stato il primo polo di sperimentazione al mondo. Invece si sono persi i soldi giapponesi e l’impresa italiana andata all’estero. Questo per dire che la situazione in Sardegna, ma non solo, è il risultato di circostanze locali particolari, ma anche di obiezioni che nascono da interpretazioni stravaganti delle norme e che fanno perdere opportunità. La Sardegna, che non ha il gas, sta pagando il prezzo di una politica energetica sbagliata».

Le buone ragioni per essere diffidenti non mancano: in passato le speculazioni che hanno lasciato macerie sono state frequenti. Ora però si è giunti a un momento di svolta, in cui sono necessarie decisioni: «Sono stati fatti molti passi avanti per le rinnovabili, ma ci siamo illusi di essere al sicuro con il gas della Russia per il backup, ovvero per la continuità della fornitura di elettricità necessaria vista l’intermittenza delle rinnovabili. Questa era l'impostazione di base, ma ci siamo legati a una dipendenza molto stretta dal gas russo. Ora la guerra ha messo in rilievo la vulnerabilità di Italia e Germania». La via verso le rinnovabili non è semplice, quella del gas si è complicata e comunque la Sardegna non l’ha mai avuto. Per ora ci resta il carbone: «Il buco che si sta creando dobbiamo coprirlo ricorrendo nel breve termine alle risorse disponibili. Quindi c’è un ritorno al carbone. Ma bisogna fare in modo di ridurre il peso del carbone. L’ipotesi del Css, il combustibile solido secondario derivato dai rifiuti è la più percorribile. In base a norme europee e italiane - lo so perché ho fatto io il decreto 10 anni fa - può essere utilizzato in co-combustione per ridurre carbone e emissioni. La qualità del Css è molto controllata, questo è un dato consolidato a livello europeo. In Germania sostituisce al 65% Pet coke nella produzione del cemento. È un combustibile alternativo ai fossili, riduce le emissioni e la quota di importazione. Si può utilizzare in Sardegna e può portare a una riduzione del 20 per cento del consumo di carbone. Ha anche un altro vantaggio: riutilizzare rifiuti non pericolosi che finiscono in discarica o vengono esportati con costi altissimi». Una soluzione ponte, ma per il futuro? «La priorità resta lo sviluppo fonti rinnovabili, ma c’è bisogno di supporto. Il sistema deve essere organizzato in maniera tale che l’elettricità intermittente venga coperta da altre fonti energetiche. Quella più pulita è il nucleare, ma non si può. In Sardegna non c'è il gas: l’ipotesi dei gassificatori galleggianti è percorribile, ma non in tempi strettissimi».

Potrebbe tornare d’attualità il progetto della dorsale? «È una questione di tempi. Dipende: i rigassificatori garantiscono utilizzo del Gnl, se ci sono le navi anche in tempi brevi. E poi dipende dalle quantità necessaria. Il vincolo è la disponibilità del gas. L’Algeria può aumentare la fornitura, ma sino a un certo punto, la capacità del gasdotto è quella che è. Stesso discorso per il Tap azero. Ora stiamo riaprendo al gas da Israele e dall’Egitto, ma ci vorrà un po’ tempo. In tempi brevi si usa quello che si ha. Il mercato del gas naturale non è così grande e la domanda che arriva da India e Cina è molto alta. Inoltre loro usano il nucleare. In ogni caso non bisogna far finta che le rinnovabili possano coprire tutta la domanda: bisogna garantire una base di sicurezza».

Ma perché la Sardegna, che l’energia la esporta, dovrebbe farsi carico delle servitù di nuovi impianti? «Nel momento in cui ci troviamo, in una situazione di emergenza nazionale, la Sardegna non sta fuori da questa emergenza. La matrice energetica va orientata verso le rinnovabili, ma la transizione va gestita e mentre si aumenta la quota di rinnovabili, servono i combustibili fossili. Altrimenti ci troveremo presto in una situazione di deficit».

In Primo Piano
Politica

Sanità, liste d’attesa troppo lunghe La Regione: «Faremo interventi strutturali»

Le nostre iniziative