La Nuova Sardegna

Talassemici

Manca il sangue per le trasfusioni, le associazioni: «Regione assente»

Claudio Zoccheddu
Manca il sangue per le trasfusioni, le associazioni: «Regione assente»

Rivolta contro il sistema regionale di raccolta

21 luglio 2022
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SASSARI. L’intenzione era ottima, il risultato un po’ meno. E così, l’idea di portare un’autoemoteca in consiglio regionale unita alla scarsa affluenza dei consiglieri al momento della raccolta, si è trasformata in un autogol che ha riportato a galla un problema mai risolto della sanità sarda: le gestione dei talassemici. Un problema pesante per l’isola, tra le regioni più colpite dalla malattia del sangue, con più di mille pazienti dipendenti dalle trasfusioni su un totale nazionale che si aggira intorno alle 7mila unità. E con il sistema sanitario in affanno, a causa della carenza cronica del personale, anche i talassemici sono costretti a fare le acrobazie per riuscire ad ottenere quello che dovrebbe essere un diritto, perché per loro il sangue è un farmaco salvavita e negarlo equivale a negare il diritto alla salute.

La protesta. «Ringraziamo senza dubbio l’assessore Nieddu per aver promosso la raccolta, che ci dispiace non abbia riscosso un buon successo in particolare tra gli onorevoli colleghi, dai quali ci si aspettava qualcosa in più. Ma ribadiamo con forza che organizzare un evento sporadico di questo tipo non può essere la soluzione ai problemi cronici del “Sistema Sangue” della Regione – dice Maria Antonina Sebis, presidente della onlus Thalassa Azione Aps – e addirittura leggiamo con sgomento che un onorevole consigliere non avrebbe donato il sangue perché impegnato, successivamente, con la seduta del Consiglio. Questa “rinuncia” grida vendetta per tutti i pazienti che ogni estate devono sobbarcarsi centinaia di chilometri inutilmente, magari con l’emoglobina bassa, e che vengono rispediti a casa perché “non c’è sangue”. Possiamo dire, senza voler sembrare offensivi, che tutto questo è oltraggioso verso ogni singolo paziente in attesa di una trasfusione».

Sistema in crisi. «Ci aspettiamo azioni più concrete per affrontare la ormai cronica carenza di sangue», dice ancora Sebis. Per capire a cosa si riferisca, è necessario evidenziare alcuni numeri. Ad esempio quello dei donatori sardi, circa 51mila, un numero più che sufficiente, con due donazioni all’anno, per soddisfare le necessità dei talassemici. A patto che si possa contare su almeno quelle due donazioni annue, un numero che non comporterebbe alcun problema agli stessi donatori. Invece, questo non accade, e l’anno scorso sono state raccolte 87mila unità di sangue, che equivalgono ad un prelievo e mezzo per ogni donatore. Poco. D’altra parte la campagne di donazione sono sporadiche e il risultato è che l’isola è costretta ad importare il plasma delle regioni del nord come Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, con esiti che spesso lasciano a desiderare: «Le regioni che hanno garantito un certo apporto, spesso non riescono a darlo in maniera opportuna. Esistono convenzioni annuali ma non ci sono dettagli settimanali – spiega ancora Maria Antonina Sebis – e capita che quando serve davvero non ci sia perché spesso queste convenzioni arrivano a soluzione entro l’anno». Ovvero, le spedizioni non sono costanti e la quota viene raggiunta con concentrazioni di consegne in determinati periodi, lasciando scoperti gli altri. La carenza di plasma, però, non è l’unico problema di un sistema che fa acqua da tutte le parti: «Abbiamo incontrato l’assessore Nieddu più volte – continua Sebis –, il 3 marzo siamo stati ascoltati dalla Commissione sanità ma ancora non è accaduto nulla di quanto abbiamo richiesto, anche portando proposte concrete che potrebbero migliorare la nostra situazione».

I problemi. Il primo è purtroppo comune a tutto il sistema: «Sappiamo che c’è grande carenza di personale sanitario in tutti i centri trasfusionali, che mette in difficoltà anche il sistema delle donazioni – aggiunge la presidentessa dalla Onlus Thalassa Azione –. Segnaliamo da anni le gravi carenza di organico, ma il problema resta e nessuno riesce ad affrontarlo in maniera stratturale. E se manca il personale, non possiamo organizzare le raccolte. Come non possiamo fare nulla se mancano i tecnici di laboratorio. E infatti anche ieri diversi pazienti sono stati mandati a casa dal Microcitemico senza aver ottenuto nulla». Ma i problemi sono ovunque: «Manca una rete di cura dedicata, manca l’approccio multidisciplinare e spesso siamo costretti a fare le visite anche dai privati. Non sappiammo più a chi rivolgerci, è un disastro quando ci sono 1.600 persone con emoglobinopatie. Questi disagi comportano gravi conseguenze che pagheremo a lungo termine e, perché no, anche dal punto di vista lavorativo e familiare. Chiediamo i permessi per sottoporci a terapie che poi ci vengono negate. Noi - conclude Sebis - non ce la facciamo più».

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