La Nuova Sardegna

L'intervista

Gli architetti del museo: «Il nostro progetto per i Giganti, un viaggio nell’ignoto»

Paolo Curreli
Gli architetti del museo: «Il nostro progetto per i Giganti, un viaggio nell’ignoto»

Renata Chelo Fiamma e Walter Dejana sono i progettisti e spiegano la nascita dell'affascinante percorso

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i Paolo Curreli

Sassari. Il sassarese Walter Dejana e l’algherese Renata Chelo Fiamma, all’epoca erano giovani architetti laureati ad Alghero. Sono passati undici anni dal giorno in cui il loro progetto fu scelto come il migliore per il nuovo museo di Cabras che avrebbe ospitato i Giganti di Mont’e Prama. «Ricordiamo bene quel giorno in cui noi e il nostro amico e collega Simone Lumbau – risponde l’architetto Dejana – abbiamo deciso di partecipare al concorso internazionale. Ci siamo detti: dobbiamo dare il nostro contributo! Di questi straordinari reperti all’epoca si parlava molto poco. Il concorso veniva bandito in un momento in cui tutto stava ancora succedendo, molto rimaneva ancora nell’ignoto».

«Il programma funzionale proposto era molto semplice e prevedeva la realizzazione di una nuova sala per l’esposizione dei reperti – precisa Chelo Fiamma –. Ma il programma che si riceve e la traduzione architettonica che se ne dà devono venire dallo spirito dell’uomo non dalle istruzioni materiali. E in questo processo sono fondamentali due cose: la consapevolezza che ogni edificio appartiene a un’istituzione dell’uomo e porsi la domanda giusta! Il tema importante per noi non era quindi lo sviluppo e la posizione della nuova sala, ma un’architettura che rispondesse in modo semplice ad un tema più complesso».

La visita al Centro restauro di Li Punti, l’incontro con le grandi statue ha acceso l’ispirazione. «Il rapporto tra l’ignoto e la conoscenza è stato motivo di ispirazione fin dall’inizio, la sala dei Giganti è la trasposizione architettonica di questo concetto – precisa Dejana –. Dall’esterno, quello che si percepisce è un volume semplice, una forma archetipa, un parallelepipedo che ha due caratteristiche importanti. La prima è la “facciata” realizzata in Sand-cast, che diventa elemento dalla valenza fortemente artistica (un monumento) nello spazio pubblico. La seconda, più strettamente legata al concetto architettonico, è il lungo taglio che separa le “facciate” dal basamento, il volume nel quale saranno esposte le sculture si stacca metaforicamente dalla terra per far entrare la luce. È il momento della “scoperta”, richiama il momento nel quale in archeologia viene tolto l’ultimo strato di terra o, ancora, il momento nel quale viene sollevato un blocco lapideo e la luce torna ad illuminare ciò che è rimasto nel silenzio per millenni. All’interno il visitatore accede ad uno spazio nero e buio, di forte senso evocativo, nel quale le statue appaiono in tutta la loro meraviglia plastica». Annullare lo spazio fisico, materiale per invitare a immergersi nell’immateriale del mistero, sembra questo il senso.

«Certo – risponde Chelo Fiamma –. Il visitatore è quasi disorientato, ma proprio grazie al volume che si stacca da terra, la luce naturale disegna i limiti dello spazio e ci si ritrova immersi nello spazio insieme ai Giganti. Le sculture vengono esposte in un ordine apparentemente casuale che consentirà, dopo tremila anni, di poterle osservare a tutto tondo in ogni dettaglio». In campo c’era anche la questione identitaria. I Giganti sono diventati simbolo di orgoglio, di ricostruzione di autostima per i sardi. I due architetti per dire “Sardegna” non sono caduti del folclorismo e nella facile citazione di un ipotetico primitivo nuragico, ma hanno scelto la tecnica del sand-cast (i bassorilievi di cemento da calchi di sabbia) messa a punto da Nivola a New York. «C’è parsa la cosa più normale da fare perché questa tecnica e il manufatto che ne scaturisce ha già un’affinità con le sculture esposte all’interno. La volontà di avere una facciata “scultorea” e che quindi potesse trasporre anche all’esterno il gioco di luce ed ombra, che mutasse ogni ora del giorno e ogni stagione dell’anno. E poi Nivola, è uno dei nostri Giganti, un innovatore che ha interpretato i suoi sentimenti e il suo essere sardo con un linguaggio in grado di parlare al mondo». «Devono esservi in quest’isola le tracce delle più antiche civiltà e Nivola ha certamente aperto gli occhi al momento giusto – dice Walter Dejana citando Le Corbusier –. Ma se uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, dall’altra parte del mondo, scrive certe cose su Costantino Nivola, può averle immaginate solo perché l’opera di Nivola racconta quello. C’è in quest’Isola una storia millenaria, profonda, che tutti i Sardi sentono dentro di loro e ci sono stati e ci sono ancora, molti modi di trasmettere questi legami, questo desiderio di racconto. Semplicemente Nivola, per noi, è quello che più di altri è riuscito con la sua opera straordinaria a raccontare la sua terra, la nostra terra».



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