La ricetta dell’esperto del turismo: «Ecco come allungare la stagione»
Josep Ejarque svela i “segreti” dei competitor dell’isola che lavorano tutto l’anno. «Sfruttare passioni e interessi con offerte complete e di grande qualità»
Sassari L’affanno è quello di chi è costretto ad inseguire. Da anni. L’isola arranca nella rincorsa alla destagionalizzazione dell’offerta turistica e, nonostante i proclami, gli spot e le proiezioni, i risultati tardano ad arrivare.
Quest’anno ha dato una mano il meteo, che ha permesso di allegare alla stagione dei record, e ai canonici mesi “turistici”, anche settembre e una porzione di ottobre. Con buona pace della vela d'élite, del beach soccer, del triathlon iridato e dei mondiali di scherma, indicati come grandi “attrattori” turistici, alla fine è sempre il settore balneare a tirare la carretta. Andare oltre sembra difficile, a volte quasi impossibile. Eppure, la ricetta esiste ed è ormai un mantra negli uffici del turismo dei competitor internazionali dell’isola.
La strada giusta Ciò che stupisce, è l’estrema semplicità dei passaggi che gli esperti indicano per imboccare la strada giusta. Per Josep Ejarque, guru spagnolo del turismo con un curriculum che spazia dalla gestione del marketing e della comunicazione turistica della Catalogna e di Barcellona fino alla responsabilità del destination management e del marketing della città di Torino, compresa l’organizzazione dei giochi olimpici, la soluzione sarebbe “terribilmente facile”. Un po’ perché le potenzialità sono enormi ma soprattutto perché gli stessi ingredienti vengono utilizzati nelle Baleari, in Croazia, in Costa Azzurra e anche in Corsica. Niente di nuovo o di rivoluzionario, dunque. Anzi, è tutto molto concreto e assodato. Il primo appunto, però, è grammaticale: «Destagionalizzazione – attacca Ejarque –, non è il termine corretto. La Sardegna non deve spalmare il turismo balneare su dodici mesi, sarebbe impossibile. Piuttosto dovrebbe lavorare sull’allungamento dell’attività turistica, ponendo come obiettivo 9-10 mesi di lavoro, dalla primavera all’autunno». Poi, Ejarque entra nel dettaglio: «La Sardegna prova a “vendere” tutto il suo territorio, sbagliando. I turisti comprano l’esperienza e, soprattutto dopo il Covid, si muovono per le passioni e gli interessi. Per questo serve avere prodotti e proposte diverse, ma organizzate in ogni dettaglio. Prediamo uno dei competitor, Maiorca. Nelle Baleari da settembre a dicembre si lavora con il turismo straniero appassionato di bici da strada, trekking, ma anche con i senior del nord Europa che spendono nell’isola due o tre settimane per svernare. Per proporre questi prodotti turistici serve essere strutturati ed organizzati in un unico sistema in cui gli operatori si dividono il lavoro. Ad esempio, dovrebbe essere sempre possibile affittare le bici, di tutti i tipi, gli alberghi dovrebbero avere un’officina attrezzata per soddisfare le esigenze dei clienti, sarebbero necessarie le guide turistiche per escursioni e trekking, in modo da puntare su un’altra tendenza del momento. Niente di troppo complicato». Eppure, fatta salva qualche rara eccezione, le falle del sistema turistico isolano vengono a galla anche quando si parla di minuzie.
I grandi eventi In compenso, sono aumentati gli eventi, soprattutto sportivi, in bassa stagione: «Che aiutano, ma sono complementi. Gli eventi sportivi e culturali devono essere strutturati, organizzati e gestiti per dare visibilità al prodotto turistico che si intende promuovere. Faccio un esempio: se la Sardegna decidesse di diventare una destinazione per gli appassionati di mountain bike, dovrebbe organizzare eventi a tema. È la strategia che stanno utilizzando da tempo i vostri competitor». E funziona? «Senza dubbio – continua Josep Ejarque –. Il flusso turistico che arriva a Maiorca durante primavera, inverno e autunno è superiore a quello estivo. Non significa che i tassi di occupazione delle strutture turistiche siano al 95% per dieci mesi: magari marzo arriva al 30%, aprile al 40, maggio al 60 ma alla fine dell’anno il livello complessivo sarà al 60/70% di occupazione. Sono questi i numeri che vediamo nei competitor dell’isola e credo che sia questo l’obiettivo per una regione che deve puntare sul turismo premium, di qualità, non su quello generalista».
Isolani e isolati Resta il problema dei collegamenti, della volatilità della continuità territoriale, aerea e marittima: «Questo è il classico cane che si morde la coda. Non ci sono collegamenti perché manca l’offerta e di conseguenza è impossibile che ci sia la richiesta. Inutile girarci attorno: per il mercato europeo la Sardegna è solo spiagge e mare. Quando si comunicherà che non siete solo una destinazione balneare, le cose cambieranno. La materia prima non manca e tenere gli aerei fermi è costoso, quindi anche questo aspetto non dovrebbe essere così complicato come può apparire. Una volta che il portafoglio di proposte turistiche verrà ampliato, crescerà la curiosità del mercato e piano piano arriveranno anche i turisti». Rimane da capire come sia stato possibile che un’isola con queste potenzialità della sia stata superata da destinazioni che fino a 25 anni fa nemmeno esistevano, perlomeno su scala internazionale: «La Sardegna si è fermata al turismo balenare perché andava bene così e perché c’è una parte importante di imprenditoria turistica che non è sarda e si accontenta dei numeri che incamera in estate. Poi – conclude l’esperto – a differenza dei nuovi competitor, la vostra isola ha sfruttato prevalentemente il mercato italiano. E se i turisti arrivavano, era anche perché si aveva a che fare con più di 50 milioni di potenziali visitatori interni. Alle Baleari è stato molto diverso, in passato l’economia spagnola era debole e i visitatori dovevano essere individuati altrove. Questo ha stimolato la nascita di un flusso turistico internazionale verso le Baleari, anche in bassa stagione. In Croazia è andata allo stesso modo: per crescere è stato necessario intercettare i visitatori stranieri, perché l’economia era debole e perché i croati sono appena 4 milioni».
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