La Nuova Sardegna

L'istituto etnografico

I primi 50 preziosi anni dell’Isre

Luciano Piras
I primi 50 preziosi anni dell’Isre

17 novembre 2022
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Bastano quattro lettere appena per spalancare una finestra sul mondo: Isre. Un piccolo acronimo che mette Nuoro e la Sardegna tutta al centro del Mediterraneo, e non solo. Un vero e proprio marchio culturale doc, una garanzia di qualità: è la sigla dell’Istituto superiore regionale etnografico. Uno scrigno delle meraviglie di casa nostra, davvero unico in Italia, spuntato nel Colle di Sant’Onofrio, all’ombra del monte Ortobene, e da lì cresciuto in progressione. Un Istituto di altissima qualità, di livello universitario, preso a modello e guardato con ammirazione da tutta l’Europa.

Nato esattamente cinquant’anni fa, l’Isre è pronto a festeggiare questo primo mezzo secolo di vita, è soprattutto pronto a raccogliere le sfide future per varcare nuovi orizzonti. Lo farà in un viaggio a puntate, a cominciare da sabato prossimo, assieme al nostro quotidiano. Un omaggio ai lettori della Nuova Sardegna, prima con una sovracoperta che introduce il tema, poi con sei inserti speciali per raccontare storia, storie e prospettive. Sabato la controcopertina; domenica il primo inserto. A seguire arriveranno gli altri. Sempre con un’ottica che punta in avanti. Proprio come ebbe l’ardire di fare il padre fondatore dell’Isre, Giovanni Lilliu, il Sardus pater che da un lato ha scavato la terra per scoprire l’isola dei nuraghi, dall’altro ha saputo guardare lontano per varcare il mare attorno.

È grazie a un intellettuale come lui che la Regione ha approvato all’unanimità la legge n° 26 del 5 luglio 1972, istitutiva dell’Isre, appunto. Una legge che a dire il vero ha preso l’avvio un anno prima, nel 1971, l’anno del centenario della nascita della scrittrice Premio Nobel Grazia Deledda (una parentesi è qui doverosa: chissà se le celebrazioni deleddiane di quest’anno, per il 150°, saranno così lungimiranti? chissà se domani le ricorderemo come oggi ricordiamo quelle di mezzo secolo fa?).

Allora Lilliu, e con lui Pietrino Melis, Mario Melis, Angelo Rojch, Gonario Gianoglio e Nino Carrus, ambirono a lasciare ai posteri un segno indelebile. Quel segno è l’Isre, tanto piccolo quanto grande, l’Istituto superiore regionale etnografico della Sardegna. Meraviglia delle meraviglie. Magari ancora poco conosciuto proprio qui in Sardegna. O meglio: troppo poco conosciuto rispetto a quanto meriterebbe. Non ci sono soltanto i musei da visitare, il Museo del Costume, la Casa-Museo Grazia Deledda a Nuoro e il Museo etnografico Collezione Cocco a Cagliari.

Ci sono mille e mille altre attività, cinema, editoria, convegnistica, mostre, che l’Isre mette in piedi ogni anno «col fine di studiare e documentare, con i più perfezionati mezzi e metodi più moderni e avanzati delle scienze umane, la vita sociale e culturale della Sardegna», come ebbe a dire Giovanni Lilliu. Sono i sardi prima di tutti gli altri a doverci credere e scommettere molto di più. La Regione, oggi più di ieri, è chiamata ad investire sempre più risorse, economiche, materiali e umane. E spirituali, perché no? Bisogna crederci molto di più, bisogna dare stabilità politico-finanziaria a questo gioiello dell’isola in continuo fermento da cinquant’anni a questa parte. Vanto di Nuoro, visto che l’Isre è l’unico ente strumentale della Regione che ha sede nel capoluogo della Barbagia.

È partendo alla Barbagia che la Sardegna doveva superare i limiti rilevati dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti della criminalità in Sardegna, la cosiddetta "Commissione Medici". Quei limiti, l’isola li ha superati. La Sardegna oggi è un’altra Sardegna. E il primo testimone è l’Isre.


 

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