La Nuova Sardegna

La rivolta

Iran, crepe nella repubblica islamica

di Nicolò Migheli
Iran, crepe nella repubblica islamica

05 dicembre 2022
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Mohamad Jafar Montazeri procuratore generale dell’Iran in un incontro con il clero a Qom ha detto che le attività della Polizia Morale sono sospese. Polizia che arrestava le donne che non si coprivano secondo i dettami stabiliti dal regime. Per il momento è solo un’affermazione da confermare con la decisione nei prossimi giorni dal Consiglio Supremo della rivoluzione culturale, che dovrà stabilire quali misure nell’uso dello hijab obbligatorio. È indubbio che la protesta partita a metà settembre con l’uccisione da parte della Polizia Morale della giovane curda Masha Amini, stia avendo un risultato che le rivolte del 2010 e del 2019 non avevano avuto. La rivolta contro il velo non è solo femminile, è riuscita a coinvolgere la popolazione maschile e le minoranze represse dei curdi e dei baluci del sud del Paese.  

Il regime islamico sta dando l’impressione di aver perso il controllo del Paese. Persino la casa natale, trasformata in museo, di Khomeini è stata data alle fiamme. Contro la Guida Suprema dell’Iran Ali Khamanei nei cortei sono state lanciati slogan di morte. La nipote Farideh Moradkani, che aveva invitato la comunità mondiale a rompere le relazioni con la Repubblica Islamica, è stata arrestata. Un segno che le proteste di questi ultimi mesi stanno toccando una parte dei vertici di quel Paese. La repressione durissima ha causato finora 440 manifestanti uccisi, 18.059 incarcerati e 62 giornalisti arrestati.

Se nelle città iraniane l’esercito di è dimostrato neutrale, non così nel Kurdistan e nel Belucistan dove sono intervenuti pesantemente sparando ad altezza d’uomo. L’editorialista Béatrice Delveux, del giornale belga Le Soir scrive che i potenti abituati a camminare sull’acqua finiscono per inciampare sui popoli, un “dettaglio” che trascurano. Lo è ancor di più per i regimi autoritari che intervengono senza scrupoli, opprimono le loro società con la paura e la violenza. Tanta spietatezza contro i manifestanti indica che per Teheran è una questione di sopravvivenza, le manifestazioni si sono trasformate in una crisi di legittimità delle istituzioni islamiche. Un segno: i negozi chiusi del Gran Bazar.

Nel 1979 fu lo stesso contro lo shah Reza Palevi. Una protesta che ha raggiunto anche i calciatori della nazionale che si sono rifiutati di cantare l’inno nei mondiali del Qatar. Negli ultimi 40 anni, le forze a difesa del regime come i Pasdaran e i Basij si sono trasformate nel complesso industriale più forte dell’Iran creando una nuova borghesia dedita non solo ad esportare la rivoluzione ma ad arricchirsi, mentre la povertà generale, anche a causa delle sanzioni cresceva. La maggioranza silenziosa degli iraniani sostiene le proteste ma esita a parteciparvi, indecisa a mantenere uno status quo che comunque non piace, consapevole che l’attuale governo si è dimostrato incapace di controllare l’inflazione e aumentare l’occupazione. Dopo circa due mesi di proteste due personalità dell’ala riformista Mohamed Khatami e l’ex vicepresidente Massoumeh Ebtekar hanno rotto il silenzio deprecando le rivolte e sostenendo che un cambio di regime potrebbe avvenire in un clima di incertezza non auspicabile, avvertendo però le alte cariche che il rischio di collasso sociale è forte.

La tragedia, secondo loro, è che il riformismo è di fatto impedito, i suoi esponenti estromessi se non perseguitati. Temono i costi di una rivoluzione, ma sanno che la popolazione può rischiarli se vede che tutte le strade per una riforma sono impedite.

L’annuncio di Montazeri è un cambiamento di linea governativa? Iraniani all’estero dicono che il provvedimento è tardivo.

Senza una leadership riconosciuta della rivolta, lo scenario possibile potrebbe essere che la seconda generazione islamica assecondi le richieste della società iraniana pur di mantenere il potere. Un proverbio iraniano dice che il mullah scende dall’asino solo se questo è morto.


 

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