La Nuova Sardegna

Scuola

Andrea Iacomini, portavoce Unicef, lunedì a Sassari: «Diamo una speranza ai giovani»

di Roberto Petretto
Andrea Iacomini, portavoce Unicef, lunedì a Sassari: «Diamo una speranza ai giovani»

Incontrerà gli studenti: «Ho fiducia nei ragazzi. A loro racconterò dei tanti eroi moderni di cui non si parla»

18 marzo 2023
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Sassari Andrea Iacomini è il portavoce nazionale dell’Unicef. Romano, 48 anni, giornalista, lunedì sarà a Sassari per una serie di incontri con gli studenti. Quella di Sassari è l’ennesima tappa di un tour che lo ha portato in giro per l’Italia. «Sono veramente felice e onorato di tornare a Sassari. Per me è la terza volta. Mi viene data la possibilità di incontrare tanti ragazzi, di raccontare temi che oggi sono al centro del dibattito, ma che spesso vengono dimenticati. Per me è importante confrontarmi con le personalità locali, ma ancora di più dialogare con i ragazzi delle scuole superiori. Negli ultimi 5 anni ho visitato 800 scuole di tutta Italia. Durante questi incontri racconto di come si raggiungono i bambini nell’emergenza. Le emergenze dimenticate. Spiego cosa sono e perché ce ne dimentichiamo». Come rispondono i ragazzi? «È sempre un grandissimo successo. Mestre, Sassari, Messina: cerco di avvicinare i ragazzi a questi temi. Temi di grandissima attualità. Quando in questi giorni guardo le immagini dei barconi, penso che insieme con i ragazzi delle scuole questi temi li ho denunciati e raccontati. Ho cercato di far vedere i mondi da dove partono, di spiegare perché partono. E vedere, alla fine delle presentazioni, i ragazzi che mostrano grandissima attenzione, fanno domande, è motivo di soddisfazione. Far vedere che c’è un mondo dall’altra parte, spiegare perché sono portavoce dell’Unicef, come mi sono messo in viaggio. È un format importante che avvicina tantissimo i ragazzi a questo genere di problemi».

Ad ogni incontro, in media, hanno partecipato 200 studenti. A loro Iacomini ha raccontato un mondo di cui sappiamo poco, di cui conosciamo l’eco lontana attraverso i fatti che arrivano a toccarci. Gli sbarchi di profughi sulla costa italiana, i tragici naufragi, i resoconti delle emergenze planetarie che ogni tanto affiorano per finire poi nell’oblio. «Racconto le cose prima che accadano – dice Iacomini -, descrivo le emergenze prima che lo diventino. Con l’Unicef cerchiamo di illuminare le periferie del mondo di cui nessuno si occupa più. L’attenzione mediatica viene presto soppiantata da altri eventi, forse non perché un determinato fatto non ha più appeal o perché si esaurisce il dibattito».

Gli esempi di una memoria collettiva labile non mancano: «Due estati fa eravamo tutti distrutti per l’Afghanistan. Si sprecavano i “mai più”, i “mi dissocio”. L’emergenza migranti? Ci sono stati 20mila morti in mare di cui 2mila bambini. Su Afghanistan e Siria ci sono state trasmissioni televisive una dopo l’altra. Abbiamo visto scene di aerei che partivano, gente che si buttava dagli aerei, una situazione con 18 milioni di persone in emergenza. Una volta partito l’ultimo aereo europeo, quel paese attraversò un inverno pazzesco. Poi la guerra ha acceso i riflettori sull’Ucraina e l’Afghanistan è sparito. Avevamo detto: “Non vi lasceremo soli”: il risultato è che in Afghanistan una persona su due non mangia, le bambine non vanno più a scuola. Lo stesso per la guerra in Siria: quella non è una guerra civile, è una guerra mondiale, nella quale hanno combattuto tutti, ma c’è voluto un terremoto per tornare a parlare di Siria. Eppure lì ci sono malattie, gente che muore per fame. Per queste emergenze noi abbiamo programmi e progetti».

C’è più egoismo, siamo più distratti di fronte ai mondi che non sono il nostro? «No, c’è grande attenzione. Non posso dire che sono eventi che passano e finiscono. Il problema è politico perché a quel livello la disattenzione è quasi scientifica. Ci sono paesi che hanno grandi tradizioni di narrazione su questi temi. Ma è nel dibattito politico che troviamo mancanza di attenzione reale per la politica estera. Da noi manca la continuità, il gossip ha la meglio». I giovani vengono spesso dipinti come distratti, superficiali. Ma è proprio così? «I giovani dopo il Covid hanno vissuto un’epoca complicata che li ha segnati e strutturati. Hanno grandi potenzialità e i social possono essere devastanti sotto certi aspetti. Ma dall’altra i giovani hanno una velocità che non avevo io. Mia madre mi metteva l’Espresso sul comodino e mi rimproverava perché non avevo interesse per quello che accadeva nel mondo. I giovani di oggi hanno invece la capacità di approfondire, anche se a volte manca chi gli fa l’assist. Sono così veloci nell’apprendere, sono una generazione sensibile, più veloce e consapevole di quella precedente. Ho grandissima fiducia in loro, non sono come ce li vogliono far immaginare». Manca però l’assist, la persona o l’entità che sia capace di far scattare qualcosa: «La scuola ha un ruolo fondamentale. È impressionante come il dibattito politico abbia la capacità di oscurare tutto. Si parla di scafisti, ma nessuno parla dei luoghi da dove vengono queste persone, perché vengono e cosa succede in quei paesi». Le eccezioni sono rare e tra queste, secondo Andrea Iacomini, c’è il Papa: «In 10 anni di pontificato Francesco è stato il papa che più di altri ha dato attenzione a emergenze dimenticate. Ma è stato purtroppo anche il più inascoltato. Francesco ha parlato di Siria, Yemen, Birmania». Cosa dirà agli studenti sassaresi? «Racconterò gli eroi moderni, mamme e papà che fronteggiano tante emergenze. Dimostrerò come spesso i media diano più spazio al gossip che a storie di vita e di emergenza. Perché non queste non fanno audience».

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