Il caso delle tende

L’emergenza abitativa nelle città

di Antonietta Mazzette
L’emergenza abitativa nelle città

Almeno dagli anni ’80 del Novecento in poi, sono mancate politiche abitative che invece avrebbero potuto costituire un regolatore dei mutamenti urbani che hanno interessato quasi tutte le città europee

12 maggio 2023
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Le tende degli studenti che in questi giorni si stanno moltiplicando in molte città universitarie, a partire da Milano e Roma, sono la punta di un gigantesco iceberg dentro cui si collocano diverse popolazioni escluse dal diritto ad avere una dimora degna di questo nome e a prezzi adeguati. Non sappiamo se la protesta studentesca contro il caro affitti avrà qualche effetto in termini di interventi reali, al di là delle inutili polemiche del ministro di turno, e non sappiamo neppure se questa protesta ‘contagerà’ gli altri esclusi dalla casa. Sappiamo invece che si tratta di un problema strutturale e come tale dovrebbe essere affrontato. Ad esempio, ci si dovrà chiedere se l’abitare debba essere inteso solo come dimora privata alla quale si accede a seconda delle individuali capacità di accesso o se, invece, debba essere visto dentro un’articolata e composita vita sociale che non si fondi esclusivamente sul consumo e sulla rendita edilizia. Non è un caso che siano soprattutto le generazioni più giovani ad aver inventato esperienze urbane in cui la casa diventa parte del loro abitare, ovvero un pezzo di vita sociale e relazionale. Possono essere letti in questo senso tutti quegli esperimenti di co-social-housing sorti prima nei Paesi del Nord Europa e in Gran Bretagna e che iniziano in anni recenti ad affacciarsi anche in Italia. Esempi che possono essere letti anche come forme di ‘vicinato’, seppure selettivo perché in questi casi i vicini si scelgono, in qualità di co-proprietari o affittuari. Queste forme di abitare rientrano nella sfera degli urban commons, così come esplicitati da David Harvey nel suo libro Rebel Cities. Ovvero, il co-social-housing è inteso come la risposta a una domanda di abitare a cui la città non risponde più, in quanto i suoi ingranaggi principali sono dati dal ‘mondo delle merci’ e dai suoi linguaggi.

Ciò che gli studenti stanno palesando con le loro tende è che le nostre città contemporanee sono luoghi dei diritti sostanziali limitati, nonostante nel tempo ci sia stato un ampliamento dei diritti riconosciuti formalmente. Si tratta di un problema che viene da lontano e che è legato anzitutto al fatto che in Italia, almeno dagli anni ’80 del Novecento in poi, sono mancate politiche abitative che invece avrebbero potuto costituire un regolatore dei mutamenti urbani che hanno interessato quasi tutte le città europee. Mutamenti che hanno comportato diversi tipi di squilibrio, resi più accentuati dalla frattura abitare/lavorare, dalla perdita dell’identità originaria e dall’indebolimento dell’articolazione sociale interna che si è progressivamente polarizzata: da un lato, una popolazione con un’alta capacità economica che risiede in edifici di pregio, dall’altro lato, una popolazione di consumatori che entra ed esce dalla città, a seconda della domanda e dell’offerta di consumo anche immateriale. Quest’ultima è costituita da categorie di persone transnazionali per loro natura provvisorie, con un’alta capacità di incidere sui cambiamenti non solo delle aree centrali, ma della città tout court: basti pensare alla diffusione degli affitti brevi in relazione alla crescente attrazione turistica delle città che hanno avuto come prime ‘vittime’ i nuclei famigliari e poi gli studenti. Naturalmente questa diffusione non ha riguardato tutte le città e comunque non allo stesso modo. Limitatamente al caso sardo, ad esempio, l’abitare temporaneo ha riguardato soprattutto luoghi attrattivi come Cagliari e Olbia, mentre Sassari, per la sua ormai cronica condizione di crisi, appare meno colpita da questo fenomeno, ma comunque non è esclusa dal caro affitti. Altrove si è cercato di ovviare a questi squilibri, ad esempio, regolamentando l’affitto temporaneo a uso turistico come a Parigi, o adottando politiche di contenimento degli affitti come a Berlino. E in Italia che cosa si intende fare concretamente, al di là dello slogan di riconvertire ad uso abitativo le caserme dismesse?


 

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