La Nuova Sardegna

Crisi demografica

Denatalità in Sardegna, emergenza per la crescita

di Giuseppe Centore
Denatalità in Sardegna, emergenza per la crescita

Manuela Bartoloni e Graziella Fusaro, entrambe impegnate nella loro attività di ricerca all’Istat, hanno di recente completato uno studio sugli effetti nei singoli territori dello spopolamento

05 giugno 2023
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Cagliari Il presidente dell’Istat nei mesi scorsi è tornato sul tema chiave, ma ampiamente sottovalutato, dell’azione politica nazionale per i prossimi decenni: la decrescita demografica. «Se oggi abbiamo 800mila persone con almeno 90 anni, nel 2050 queste diventeranno 1,7 milioni, per salire a 2,2 nel 2070. Di queste 145mila saranno ultracentenari, oggi sono 20mila. Capite cosa significa tutto questo in un Paese che oggi ha 59 milioni di abitanti e nel 2070 avrà 48 milioni di abitanti?» Gian Carlo Blangiardo accompagna questa considerazione all’altra faccia della medaglia: l’impatto del calo della popolazione sul Pil. «Solo per effetto del cambiamento demografico, della composizione per età della popolazione, del numero di abitanti, il Pil dai 1.800 miliardi di oggi scenderebbe di 500 miliardi». La sostenibilità del sistema Paese, a questo punto sarebbe veramente a rischio, con le aree più ricche, e più abitate, distanti dalle aree meno popolose. L’aumento delle disuguaglianze ne è l’immediata conseguenza. E la Sardegna si trova in cima a questa inospitale graduatoria.

Manuela Bartoloni e Graziella Fusaro, entrambe impegnate nella loro attività di ricerca all’Istat, hanno di recente completato uno studio sugli effetti nei singoli territori dello spopolamento.

Emergono così alcuni elementi ignorati dalla politica. La crescita della componente straniera non compensa se non parzialmente, la diminuzione di quella di cittadinanza italiana, sia per il rallentamento dei flussi dall’estero sia per il comportamento riproduttivo degli stranieri, che si avvicina sempre più al modello italiano. Dal 2015 le donne straniere non riescono più a garantire il “livello di sostituzione” (2,1 figli per donna). Evidenti le disuguaglianze territoriali anche nei comportamenti riproduttivi. Nel periodo 2014-2021 la regione che ha registrato il tasso di natalità più basso è la Sardegna (6,0 per mille), seguita da Liguria (6,1) e Molise (6,5), mentre le regioni con il quoziente di natalità più alto sono il Trentino-Alto Adige (9,2), la Campania (8,4) e la Sicilia (8,2).

Tra le regioni più anziane l’isola è seconda con 241,8 ultra65enni ogni 100 under 15, preceduta solo dalla Liguria. Il terzo elemento è che vi è, come da logica e numeri, un rapporto diretto tra Pil e dinamica migratoria interna: il centro-nord continua ad attirare più che il resto del paese, con Emilia e Trentino in testa. E tra declino demografico e crescita economica, con Trentino che cresce ed Emilia che rimane costante.

Infine l’intensità della decrescita demografica: più contenuta nel Nord e nel Centro Italia, decisamente significative in Sardegna, Molise e Basilicata.

Idem per i dati sulle cosiddette aree interne, quelle più lontane dai servizi essenziali: la Sardegna ha l’80 per cento dei suoi comuni che ricadono in questa categoria, dove il tasso di decrescita solo per questo elemento è doppio rispetto alla media del paese.

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