Gallura

Natura selvaggia e niente turisti: «Culuccia è l’opera d’arte di Dio»

di Luigi Soriga
Natura selvaggia e niente turisti: «Culuccia è l’opera d’arte di Dio»

Il progetto visionario dell’imprenditore torinese Marco Boglione che acquistò l’isola nel 2017. Ha ridisegnato i sentieri sterrati e rifatto i muretti: «Sarà un modello green»

02 agosto 2023
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dall'inviato a Santa Teresa Bisogna viverla un giorno intero, capovolgere la clessidra del tempo, per capire cosa sia Culuccia. Questo lembo selvaggio di 300 ettari che penzola nel mare tra Palau e Santa Teresa, fatto di natura, vento, muretti a secco, sentieri sterrati e sguardi riempiti di panorami e bellezza. Per Marco Boglione, 67 anni, imprenditore torinese che l’ha comprata il 17 aprile del 2017 divenendone l’unico proprietario, è un’opera d’arte. Ma non un’opera d’arte qualunque: «Un’opera d’arte di Dio».

L’affresco di Dio Dice: «Conosco diverse persone che hanno speso uno sproposito per un quadro. E tu ti chiedi? Ma perché diavolo l’avranno acquistato? Cosa se ne fanno? Semplicemente lo appendono a un muro, lo guardano e godono della sua bellezza. Io e mia moglie Stella, con Culuccia abbiamo fatto la stessa cosa». E come si usa con i capolavori, le si riserva rispetto: «Lo restauri pian piano. Cerchi di riportarlo allo splendore originario. Ma senza mai cambiare i paesaggi». Per tanto tempo, questo “affresco di Dio”, Marco Boglione l’ha osservato dalla finestra. Lui è uno degli imprenditori più visionari d’Italia. Una mente che non stacca mai, tecnologico, rivoluzionario, ha cambiato il modo di vestire lo sport, ha reinventato il marchio Robe di Kappa, è diventato presidente del gruppo BasicNet che gestisce griffe come K-Way, Superga, Jesus Jeans, Briko e Sebago. Come altri ricchi che bazzicano la Gallura, avrebbe potuto comprare un maxi yacht da 50 metri: «Forse sarebbe costato quanto Culuccia, anche come manutenzione». Oppure poteva scegliere una villa sul mare con piscina, pontile e prati verdi pettinati. «Io desideravo un’azienda agricola sul mare, e dopo tante ricerche nel 2009 l’ho trovata a Cunchedda». Ogni mattina, quando si affacciava alla finestra, vedeva Culuccia. «Era una presenza leggendaria. Di chi sarà? Chi ci ha abitato? Che storie custodisce? Ero incuriosito e affascinato da quella terra». Formazione Politecnico di Torino, fantasia di un bambino, nel 2010 è tra i primi a far svolazzare e giocare con i droni. «Facevo continue ricognizioni su Culuccia, filmavo tutto, i sentieri, i due stazzi. Ero ossessionato. Ma mai avrei pensato di poterla comprare».

L’acquisto Poi un giorno, nel 2015, il suo amministratore delegato gli apparecchia sulla scrivania un business plan. Sulla copertina c’era scritto: Culuccia. «La vogliono vendere. Può interessare?». Marco Boglione sbianca: «Mi vengono i brividi anche ora, a ripensarci». Tutti lo prendono per matto: non puoi farci nulla, neanche spostare una pietra, è super vincolata, stai buttando via i soldi. Ma nessuno di loro, dalla finestra, aveva mai osservato da vicino quel “quadro di Dio”. Boglione sta comprando il suo sogno, non un affare immobiliare. In vendita, per lui, c’è l’opera perfetta del Creato. E comincia a restaurarla con grande delicatezza. Perché Culuccia è come un animale selvatico che non si fa domare. Per 35 anni è rimasta abbandonata a se stessa, e la natura ne ha rivendicato il possesso, cancellando le orme dell’uomo. «Abbiamo ridisegnato gli antichi sentieri sterrati guardando i rilievi aerei». E sono l’unica rasoiata della modernità dentro un paesaggio incontaminato, fatto di vegetazione talmente fitta e intricata che nessuno, tranne gli animali, potrebbe attraversarla. Muri invalicabili fatti di ginepri, olivastri, lecci, corbezzoli, lentischi, mirto, e cisto di ogni varietà. E ancora elicriso, assenzio, e nelle zone salmastre il giunco e la salicornia, che se assaggi le foglioline sanno di mare. Una flora che non conosce pneumatici e suole di scarpe, ma solo il calpestio di volpi, donnole, martore, lepri, tartarughe, lucertole, rane, capre, qualche cinghiale, l’asino Bastianino e naturalmente le vacche. Perché Culuccia, sino a un secolo fa, era l’isola delle Vacche.

Putin con le corna Se si potesse scegliere una reincarnazione, non c’è da pensarci su: la prossima vita sarà quella di Putin. Ma non lo zar russo, ma il despota di Culuccia. Alle 11 del mattino è sdraiato fronte mare, sulla posidonia, per lui come un materasso in lattice memory, che si gode la brezza di ponente e la vista su Spargi, Spargiotto, Budelli, Razzoli, Santa Maria e la Maddalena. Un widescreen sintonizzato per lui, sulle meraviglie del mondo. Putin, che è uno dei due tori che vivono liberi nell’isolotto, rimane immobile per ore, senza mai cambiare canale. Potrebbe spostarsi e guardare a est l’isola dei Gabbiani, oppure a Ovest ammirare Conca Verde. E se allunga un po’ l’occhio di bovino a Nord Ovest, intravvede i contorni delle isole di Lavezzi, Cavallo e il sud della Corsica. Invece sta lì per ore, ogni tanto getta lo sguardo sulle vacche e sui vitelli che gli ronzano intorno. Ed è felice. Eppure, alcuni anni fa, era andato via da questo piccolo eden. L’ardore giovanile l’aveva portato a varcare recinzioni e confini assieme ad altre vacche, e aveva vagabondato verso Santa Teresa. A Culuccia era rimasto Primo, il toro più anziano. Poi però Putin decise di ritornare a casa, e Primo non la prese benissimo. Sono rimasti due giorni a scornarsi divisi dal recinto, uno fuori e uno dentro, finché i guardiani di Culuccia, stanchi del baccano, hanno deciso di aprire i cancelli. E Putin, il dispotico, questo il nome che si è guadagnato, tra sbuffi e incornate ha ristabilito il suo regno.

Visitatori, non turisti Nessuno lo disturba, soprattutto l’uomo. Perché Culuccia si visita solo in punta di piedi, con rispetto. Ci si può accedere via mare, dai tre pontili. Perché la costa non è proprietà privata. Ma poi, per spostarsi dentro l’isola, bisogna essere accompagnati: «A Culuccia non si viene per cazzeggiare – dice Marco Boglione – non c’è un ufficio turistico ad accoglierti. C’è un osservatorio naturalistico». Con la dottoressa Sabrina Rossi e i suoi giovani collaboratori entomologi, architetti, del Politecnico o dell’Università Roma 3 che guideranno i visitatori in un tour nella biodiversità terrestre e marina. Li porteranno a bordo di fuoristrada sui 15 chilometri di percorsi accidentati, tra una cala e l’altra. Gli faranno visitare le vigne che producono un vermentino da 60 euro a bottiglia, che sa di salsedine, perché i grappoli sono immersi nel mare prima della vendemmia. Gli mostreranno i pozzi naturali, e gli stagni che pompano acqua e vita, e poi gli presenteranno Putin, Primo, e la combriccola di ruminanti. E andranno sugli stazzi bianchi, dove il vecchio proprietario Zio Agnuleddu, allungava lo sguardo sull’arcipelago. E poi i sentieri di mare, lo snorkeling, con una flora marina da scoprire. «Io lo chiamo Capitale Naturale – dice Marco Boglione. Con mia moglie ci crediamo e abbiamo deciso di coltivarlo con passione. Mi piacerebbe che Culuccia, quando il progetto sarà compiuto, diventasse un modello di fruizione della natura. E allora sì, che questa opera d’arte di Dio, acquisterà anche valore».

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