Massimo Cugusi, il manager che fa da ponte tra l’isola e l’Arabia Saudita
Con la sua Touché Consulting esporta i talenti sardi, l’obiettivo è realizzare la visione del futuro senza petrolio voluta da Bin Salman
Sassari Fa avanti indietro dai Paesi arabi da talmente tanto tempo che ormai più che un uomo d’affari sembra il padrone di casa. Il suo lavoro consiste nell’accompagnare imprenditori, professionisti e artigiani per mettere radici nei mercati internazionali. E c’è un’area del mondo in particolare, in questo momento, che sta calamitando Pmi e maestranze sarde: l’Arabia Saudita.
Massimo Cugusi, 60 anni di Cagliari ma con sangue di Gavoi, fa un mestiere che un tempo era definito export manager. Nel suo caso, però, quest’etichetta sarebbe riduttiva. Con i suoi 35 anni di esperienza in giro per il mondo Cugusi è infatti diventato un punto di riferimento per le imprese sarde e italiane che in questo momento molto particolare stanno cercando di portarsi a casa una fetta della grande torta del piano di crescita visionario del Paese arabo
Arabia is on fire Per anni ci si è concentrati a cercare fortuna su Dubai e soltanto di recente l’attenzione si è focalizzata sull’Arabia. «In questo momento – spiega Cugusi – c’è un fenomeno abbastanza massiccio che porta anche i professionisti a focalizzarsi sull’Arabia Saudita. Succede anche a chi per anni ha avuto come centro della propria attenzione gli Emirati Arabi. Questo perché oggi c’è l’ambizione di diventare un nuovo hub regionale, e quindi di offrirsi come punto di snodo per imprese internazionali che vogliono proporsi all’interno dei Paesi del Golfo».
Quello che oggi manca all’Arabia è la dimensione aziendale della Pmi italiana di successo, cioè l’icona del nostro Paese. Intendiamoci, l’Italia è ben rappresentata dai grandi gruppi, contractor di infrastrutture, oil&gas. Insomma, nomi come Eni e Snam. «Manca tutto il resto del made in Italy – riprende Cugusi – che ancora non si è inserito. C’è una considerazione molto positiva da parte dei sauditi per le imprese italiane e quelle sarde: godono entrambe di una eccellente reputazione».
Le ditte sarde Ma quali sono i settori in cui le aziende e i professionisti dell’isola si stanno inserendo meglio in Arabia Saudita? «C’è sicuramente il turismo – riprende Cugusi –. Fino al 2019 non era una meta turistica, ci si poteva andare con un visto per turismo religioso o per affari. Oggi, invece, si può entrare semplicemente con una richiesta di visto elettronico via web. Significa che l’Arabia si è aperta al turismo di massa, e questo significa costruire alberghi. Ci sono dei progetti di sviluppo territoriale lungo la costa del Mar Rosso di dimensioni enormi. E quindi servono sistemi di gestione per le reti di questi alberghi, mobili, tessuti, equipaggiamenti».
I settori Detto in altri termini: si sta aprendo un nuovo mondo. E Massimo Cugusi non fa altro che inserire le imprese sarde che si affidano alla sua società nel business. «Ho un cliente a Samugheo che si occupa di tessitura sarda – dice ancora – fanno un prodotto di altissima qualità e stanno entrando sia nei progetti delle ville, sia all’interno dei progetti di questi nuovi alberghi. C’è poi un settore spesso sottovalutato in Sardegna, quello dei servizi. Ebbene, tra i miei clienti ho due gruppi importanti, uno su progetti per il verde e l’ambiente, e poi professionisti in architettura del paesaggio. Sempre in tema di turismo, stiamo per chiudere un progetto per organizzazione di eventi. Poi c’è tutta la filiera legata alle progettazioni ingegneristiche, sia in ambito civile sia industriale. Ci sono anche aziende che progettano gruppi elettrogeni, che fanno trasformazione digitale».
Hi tech In tema di digitale si sta affacciando all’Arabia Saudita anche Abinsula, la ditta informatica sassarese che progetta software e soluzioni per l’automotive, oltre che essere impegnata sul fronte della cybersicurezza. Gli eventuali accordi e l’impegno che la società di Sassari avrà nei Paesi Arabi è ancora top secret. Tuttavia, sui social circolano da qualche settimana le foto del Ceo Andrea Sanna scattate in terra araba insieme a rappresentanti di alcune aziende del posto. Cugusi in passato ha anche lavorato per esportare i forni “Zio Ciro”, un’azienda di Marrubiu che ha cominciato dal basso producendo forni a legna in maniera praticamente artigianale e ha scalato il tetto del mondo grazie a una crescita pazzesca.
Know how L’Arabia Saudita ha un tasso di crescita molto elevato e sta passando dalla dimensione pura e semplice del produttore del petrolio a una dimensione più compiuta. «Vuole consolidare il proprio tessuto economico produttivo allargandolo anche al campo della manifattura – riprende Cugusi – e per farlo ha necessità di competenze e tecnologie. È questo il driver principale che sta portando un numero crescente di imprese sarde a considerare l’Arabia Saudita come mercato di primaria importanza, non tanto per l’opportunità di vendita in cui porto un prodotto fisico, ma anche per valorizzare e vendere anche un qualcosa di immateriale: il know how».
La mission Ci sono due sfaccettature principale nella mission lavorativa del 60enne cagliaritano. La prima è quella di aiutare le Pmi a piazzare i loro prodotti nei mercati internazionali di tutto il mondo. La seconda, invece, è quella di far mettere radici alle aziende e anche agli artigiani all’estero. E proprio su quest’ultimo aspetto che i suoi clienti stanno raccogliendo i maggiori frutti. Cugusi, con la sua società “Touché Consulting”, accoglie infatti le imprese e gli artigiani che vogliono affacciarsi al mondo arabo e li porta per mano a parlare con i partner che contano, quelli che danno commesse di lavoro che si contano in milioni di dollari. «Ho cominciato questo mestiere negli anni ’80 – racconta ancora Cugusi –. Nel 1999 mi sono messo in proprio perché ho capito che c’era un mondo da scoprire e un mestiere che oggi potrebbe dare occupazione buona e qualificata sia in forma di lavoro autonomo e dipendente per moltissimi ragazzi sardi. Nell’isola abbiamo la quasi totalità di micro e piccole imprese che o le tagliamo fuori loro, oppure troviamo una forma di condivisione di obiettivi e risorse. Ma per farlo è necessario formare un nuovo modello di export manager».