La Nuova Sardegna

L’intervista

Graziella Dore: «Ho pregato e sperato che Giulia avesse più fortuna di Dina»

di Silvia Sanna
Graziella Dore: «Ho pregato e sperato che Giulia avesse più fortuna di Dina»

Parla la sorella della donna uccisa a Gavoi 15 anni fa: «Ho rivissuto quel dolore, è una ferita sempre aperta»

23 novembre 2023
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Gavoi, 26 marzo 2008: “Chissà se ha freddo, chissà se è all’aperto, se ci sono topi, se ha paura”. Gavoi, 12 novembre 2023: “Chissà se è sola, se ha trascorso la notte in auto, se vorrebbe chiamare a casa ma non può”. Dina e Giulia. Due donne uccise a 15 anni di distanza. E una terza donna, Graziella Dore, che la prima l’amava moltissimo perché era sua sorella e che per la seconda ha pregato tanto davanti alla tv, di fronte a quel viso così dolce stampato su tutti i giornali. Graziella Dore dice che la vicenda di Giulia Cecchettin le ha fatto rivivere le prime terribili ore di quella sera di marzo di 15 anni fa, quando Dina era sparita e tutti pensavano che fosse stata rapita. «E io la immaginavo terrorizzata al freddo, abbandonata in un casolare in campagna, in mezzo agli animali, ai topi che erano una sua fobia. Magari fosse stato così». Perché Dina invece era già morta, chiusa nel bagagliaio della sua auto in garage. La sorella lo ha saputo alle 4 di quella notte. E tutto è finito.

Graziella, che ricordi ha di quei momenti?
«Ricordo ogni istante, ricordo il telefono che squilla nel cuore della notte, mio marito Rino che risponde e cambia espressione. Ma non mi dice nulla, soltanto “esco, potrebbero esserci novità su Dina”. Io dopo pochi minuti lo chiamo al telefono e non risponde. Richiamo, lo tempesto di messaggi. Niente. Poco dopo sento il portone di casa che sbatte, ma non era un rumore normale, era più forte, come se qualcuno l’avesse chiuso con violenza. Rino entra in casa e mi dice “l’hanno trovata, era nel bagagliaio. Dina è morta. Dina non c’è più” . E ricordo i rumori successivi, io che ripeto “non è vero, non è vero” , i pugni sul tavolo, mio marito che piange e mi abbraccia. La casa che si riempie di gente».

Chi c’era?
«C’era mio cognato, salito dal piano di sotto. I miei figli Giulia e Andrea, che avevano 17 e 13 anni. Mio fratello Giuseppe, il primo a scoprire che Dina era morta. L’aveva sentito alla tv e aveva chiamato subito mio marito. E poi c’era Elisabetta, la figlia di Dina, che dormiva nella sua culletta».

La verità sulla morte di Dina è venuta fuori solo dopo cinque anni e si è scoperto che il mandante del delitto era il marito, Francesco Rocca. Lei e i suoi familiari avete dubitato di lui?
«Inizialmente no. Avevamo una buona opinione di lui, abbiamo sempre pensato che si comportasse bene con Dina e che lei con lui fosse felice. Solo nell’ultimo periodo mia sorella era strana, nervosa. Ma era diventata mamma da poco e la bambina la teneva molto impegnata. Pensavamo fosse per questo. Invece...»

Invece?
«Stava male, sapeva che lui aveva un’altra relazione. Probabilmente voleva separarsi, aspettava il modo e il momento giusto per dirlo a mio padre e a mia madre, anche per loro sarebbe stato un brutto colpo».

Con lei si era mai confidata?
«No. Ogni tanto però mi faceva capire che lui non le dava attenzioni, che non era abbastanza presente. Un’altra volta mia figlia l’aveva sentita litigare al telefono, Dina si era chiusa in bagno».

Se si fosse sfogata con lei che cosa le avrebbe detto?
«Non lo so, è difficile entrare nelle dinamiche familiari. Le sarei stata accanto, l’avrei ascoltata. Io e Dina eravamo molto unite, nonostante la differenza d’età– lei era più giovane di me di 10 anni – ci siamo sempre state una per l’altra e per i rispettivi figli».

Come è cambiata la vostra vita dopo la morte di Dina?
«Io ho perso una parte di me. Mia madre non è più uscita di casa, neanche per andare a comprare il pane. Mio padre si è chiuso nel silenzio, si vergognava a piangere. Ci ha lasciato tre anni dopo la morte di Dina. Quando ancora non si conosceva la verità sugli assassini».

Da quando il suo ex cognato è finito in carcere, la figlia di Dina è venuta a vivere con lei e la sua famiglia.
«Si, ho l’affido di mia nipote Elisabetta, oggi ha 16 anni».

Assomiglia alla mamma?
«Tanto».

A casa vi capita di parlare di Dina?
«Lei è sempre con noi. Spesso diciamo “chissà cosa avrebbe detto o fatto Dina, cosa avrebbe pensato di questo o di quello. Era molto intelligente e determinata, sapeva dare buoni consigli. Anche per i miei figli era un punto di riferimento».

Che cosa prova nei confronti di Rocca?
«Rabbia, fastidio, senso di impotenza. Mia sorella è sottoterra per colpa sua. E lui e l’altro, che all’epoca era un ragazzino, godono di permessi dal carcere. Quello che l’ha uccisa ha persino un profilo su Instagram. Perché? In Italia non c’è certezza della pena. Chi uccide prima o poi si rifà una vita, non c’è rispetto per le vittime. Lottiamo, andiamo in piazza, manifestiamo contro la violenza sulle donne: lo faccio da quindici anni anni e continuerò a farlo, perché è giusto. Ma mi sembra che non sia cambiato niente».

Ora l’intero Paese è sotto choc per la vicenda di Giulia.
«Una ragazzina prigioniera di un amore malato. Quando è scomparsa ho rivissuto le stesse sensazioni di quella notte di 15 anni fa. Ho tremato, in cuor mio sapevo che lui le aveva fatto del male. Ma ho sperato che le cose andassero diversamnte, che Giulia fosse più fortunata di mia sorella».

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