La Nuova Sardegna

L’intervista

Luciana Marotta: «Mio fratello fu la prima vittima dell’Aids in Sardegna»

di Silvia Sanna
Luciana Marotta: «Mio fratello fu la prima vittima dell’Aids in Sardegna»

In un libro la storia di Gianfranco Marotta, morto nel 1985

30 novembre 2023
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Sassari «Spesso, quando lavoro, ripenso a quando ero a Cagliari, a tutte le cazzate che ho fatto. E solo ora mi rendo conto che c’eri sempre tu a togliermi dai guai... Mi ricordo di una notte in cui ubriaco mi ero buttato per terra e tu sei venuta subito. Senza preoccuparti di tutta la gente che si era fermata a guardarmi, ti sei seduta per terra vicino a me e mi ha i abbracciato forte, io ho iniziato a piangere… te lo ricordi Luciana?».

È il 20 febbraio 1985, la malattia già cammina veloce, il fisico è debilitato ma la mente straordinariamente lucida. E Gianfranco Marotta, 30 anni, ripensa a chi da sempre gli tiene la mano, nei momenti brutti (tantissimi) e in quelli belli (pochi) che di recente ha assaporato. Lei è Luciana, la sorella maggiore, che è anche un po’ mamma, amica, spalla. «Ti voglio tanto bene, sorellina, non vedo l’ora di riabbracciarti». Gianfranco, ex tossicodipendente che si era da poco disintossicato, morirà 9 mesi dopo, nel letto d’ospedale in cui trascorse gli ultimi 6 mesi di vita dopo la diagnosi di Aids. Era il 4 dicembre del 1985, Gianfranco fu la prima vittima di Aids in Sardegna, fu il primo a scoprire di avere la peste del secolo che sino a quel momento sembrava essere così lontana. «Figuriamoci se dall’America arriva nella nostra piccola Sardegna, è impossibile. Stai tranquillo, scopriranno quello che hai. Ma non può essere l’Aids. Questo dissi a mio fratello, quando invece la verità venne fuori, fu uno choc per tutti».

Luciana, oggi 70enne, ricorda quei giorni: «Prelievi su prelievi, decine di analisi e nessun esito. Gianfranco continuava a stare male, a dimagrire, non si reggeva in piedi. Quando da Roma arrivò il responso ci dissero che l’Aids era ormai a uno stadio avanzatissimo, che Gianfranco non aveva più anticorpi e gli restavano pochi giorni di vita. Ci regalò altri sei mesi con noi, lui a differenza di altri non morì solo». Alla storia di Gianfranco Luciana Marotta ha dedicato un libro: si intitola “Oltre la droga e l’Aids, l’altra vita di Gianfranco”. Ristampato di recente, il ricavato delle vendite va interamente alla Comunità S’Aspru di padre Salvatore Morittu e alla casa famiglia Sant’Antonio Abate fondata dopo la morte di Gianfranco: «L’aveva promesso Padre Morittu, e l’ha fatto».

A S’Aspru Gianfranco era arrivato nel 1983, lì aveva ricominciato a pensare che un futuro fosse possibile. «Si era drogato per anni, era devastato dall’eroina. Viveva per strada, ogni tanto tornava da me. Era consumato, arrabbiato. Un giorno riuscii a convincerlo: gli dissi “andiamo in Comunità, proviamo, che cos’hai da perdere?”. Mi ascoltò. Lì a S’Aspru il lavoro, la campagna, le persone intorno, lo fecero cambiare. Scatto subitò qualcosa in lui. Si sentì parte di un gruppo, di una famiglia. Dopo tanto tempo vedevo mio fratello felice. Mollò la droga, iniziò a scrivere. Mi dedicò tante lettere. Molte altre furono pubblicate nel giornale della comunità, insieme a quelle scritte per lui dai compagni. In particolare durante i 6 mesi in ospedale non smisero mai di pensare a lui. Provo tanta gratitudine per chi ha riempito di calore gli ultimi anni della sua vita. E mi dispiace perché tanti di loro se ne sono andati senza il conforto delle loro famiglie».

Quando per Gianfranco arrivò la diagnosi di Aids, padre Morittu fece fare il test a tutti i ragazzi della Comunità. Venne fuori che quasi tutti erano malati. «Intorno a loro e a noi si creò un clima di diffidenza, l’Aids faceva paura, l’ignoranza sulle modalità di contagio scatenò il panico. Anche io, in quanto sorella di un malato, divenni un’appestata. Un medico mi disse: di sicuro non si trasmette con le lacrime o accarezzandosi la mano. E io la mano di Gianfranco l’ho sempre tenuta stretta». Dopo la sua morte, Luciana ha scelto di continuare a dedicarsi agli altri. Ha creato Labos, un’associazione che sta accanto ai bambini ospedalizzati. E ha scritto il libro sulla storia di Gianfranco, sui suoi sogni spezzati. «Oggi l’Aids è curabile, non si muore più. Ma ai ragazzi dico di stare attenti, di non abbassare la guardia. Anche mio fratello, ne sono sicura, vi direbbe così».

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