La Nuova Sardegna

Le reazioni

Stretta sugli influencer, i “divi” sardi: «Ok alle norme, seguirle serve a tutti»

di Claudio Zoccheddu
Stretta sugli influencer, i “divi” sardi: «Ok alle norme, seguirle serve a tutti»

Elga Enardu: «Però esistevano già». Danilo Contu: «Sono figlio di un finanziere»

11 gennaio 2024
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Sassari Per loro non è una novità. Chi utilizza i social in modo corretto, conosce i meccanismi che regolano le inserzioni pubblicitarie e, soprattutto, li utilizza. Quando si chiede ad un influencer cosa possa pensare dell’intenzione di regolamentare il sistema, palesata dal Garante delle comunicazioni (AgCom), può rispondere solo una cosa: «Giusto». Per poi aggiungere: «Noi lo facevamo già». Anche perché, c’è una differenza fondamentale tra l’influencer e il testimonial che sinteticamente può essere spiegata con una frase: il testimonial ci mette la faccia, l’influencer ci mette la vita. Perché è questo che funziona e fidelizza i follower che, solo in un secondo momento diventano “clienti”, raccontare la vita quotidiana, il privato, le gioie e qualche volta anche i dolori.

Ma non solo, come spiega Elga Enardu, influencer da quasi 500mila follower solo su Instagram: «Sponsorizzo solo quello che mi convince e mi piace. Non potrebbe essere altrimenti perché utilizzo i trattamenti che reclamo. E se il trattamento dura un mese, lo uso per un mese».

Ma l’amore per i prodotti non sottintende l’onestà di chi li pubblicizza: «Le regole sono necessarie, non lo discuto. Dico solo che ne esistono già e chi lavora onestamente le segue, come faccio io. Poi secondo me c’è anche un’altra chiave di lettura, perché sembra quasi che ora si pensi solo a trovare l’inghippo per poi farti un controllo e metterti la multa». Secondo Elga Enardu, individuare i contenuti pubblicitari è piuttosto semplice: «A parte i riferimenti diretti alle inserzioni che compaiono nelle nostre pubblicità, è chiaro quando uno sponsorizza qualcosa o quando non lo fa. Ma se volessi indicare, ad esempio, qualcosa che mi piace o una struttura dove mi sono trovata bene ma con cui non ho accordi, rischio di violare le norme?».

Difficile dirlo, perlomeno al momento. Ma a generare dibattito nel mondo degli influencer è soprattutto Chiara Ferragni, la pioniera della comunicazione pubblicitaria sui social: «Credo che ci sia stato molto accanimento nei sui confronti , soprattutto perché ancora non è stata fatta chiarezza. E mi spiace molto che abbia suibto una gogna che ora viene anche cavalcata dalla politica».

«Credo che le indagini siano partite da qualcosa di concreto ma lei subisce un accanimento che sfocia nel personale, e questo non è condivisibile», spiega Danilo Contu, influencer di Siniscola di base a Sassari da anni che sui social indossa i panni di “perchéioContu” ed è sbocciato esibendosi in improbabili traduzioni italiane dal sardo logudorese. Un “format” che ha fatto breccia e in pochi mesi ha portato 64mila folower e numerose collaborazioni pubblicitarie: «Lo dico subito: sono figlio di un finanziere, se non denunciassi quello che faccio non dormirei la notte – spiega –. Uso la ritenuta d’acconto, rilascio le ricevute e faccio in modo che i miei contenuti pubblicitari siano evidenti. Poi, seguo le mie linee guida che, sostanzialmente, sono cercare di non fare marchette. E accetto solo le collaborazioni che sono in linea con me. Non ne ho mai fatte tanto per guadagnare».

Impossibile, d'altro canto, non intervenire in alcun modo: «In questa giungla servono le regole – aggiunge Danilo Contu – anche se in realtà Instagram offre tutte le possibilità per fare in modo di non cadere in un equivoco. Se inserisci l’hashtag Adv (sigla di advertising, in italiano “pubblicità”, ndr ) l'algoritmo lo riconosce e arriva una notifica immediata in cui viene indicato che tu stai propagandando qualcosa. Poi ti viene chiesto con chi stai facendo la collaborazione e il post viene accompagnato dalla dicitura “Partnership pubblicizzata”. Chi lavora seriamente – continua l’influencer – , soprattutto le aziende, hanno un tornaconto da questa pratica perché possono controllare le reazioni e le tendenze legate al contenuto».

Come se un’azienda potesse vedere in tempo reale quali reazioni vengono generate da uno spot. Il “nero”, insomma, non sembra la giusta strategia nemmeno sui social: «Perché poi gli spot sui social, che sono frutto di un lavoro notevole, possono essere anche più efficaci di quelli distribuiti sui media tradizionali. E se i contenuti buoni dal punto di vista qualitativo, le visualizzazioni aumentano», conclude Contu.

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