La Nuova Sardegna

Intervista

L'avvocata di Tomaso Cocco: «Il mio assistito soltanto indagato trattato come i peggiori mafiosi»

di Andrea Massidda
L'avvocata di Tomaso Cocco: «Il mio assistito soltanto indagato trattato come i peggiori mafiosi»

Monte Nuovo, Rosaria Manconi sul medico trasferito dal carcere di Uta a quello di Palermo. In altre strutture anche Cossu “Cioccolato”, Mesina e Mercurio

16 gennaio 2024
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Cagliari Durante la notte del 5 gennaio scorso gli agenti della polizia penitenziaria sono entrati improvvisamente nella sua cella del carcere di Cagliari-Uta, dove da oltre tre mesi si trovava rinchiuso in regime di custodia cautelare. E – senza che ne sapessero niente i difensori e i familiari, ma nemmeno lui stesso – lo hanno trasferito d’urgenza nella casa circondariale “Pagliarelli” di Palermo, che dal 1995 ha sostituito il famigerato “Ucciardone” per la gestione dei detenuti ricompresi nel cosiddetto circuito “Alta Sicurezza 3”, riservato agli accusati di reati connessi alla mafia, al traffico di droga e ai sequestri di persona. È stata un’Epifania traumatica quella passata da Tomaso Cocco, 54 anni, il primario del reparto di Terapia del dolore dell’ospedale Binaghi di Cagliari indagato insieme ad altre 31 persone (tra le quali l’ex assessora regionale all’Agricoltura Gabriella Murgia, agli arresti domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Cagliari denominata “Monte Nuovo”, sui presunti rapporti illeciti tra criminalità organizzata, politica e colletti bianchi. Cocco, tuttavia, non è l’unico indagato di quella stessa indagine a essere finito oltre Tirreno. Lo stesso provvedimento è stato adottato per Nicolò Cossu (ora a Voghera), Giovanni Mercurio (Livorno) e Giuseppe Antonio Mesina (mandato a Civitavecchia e da non confondere con il quasi omonimo Giuseppe Mesina, totalmente estraneo a questi fatti e alla parentela con Grazianeddu). Ricollocato, pur restando in Sardegna, anche Tonino Crissantu (da Bancali a Badu ‘e Carros).

«Riesame ignorato» A parlare del caso con un misto di sconcerto e indignazione è l’avvocata Rosaria Manconi, legale del medico insieme alla collega Herika Dessì, che a proposito di questa inaspettata “traduzione” del suo assistito racconta particolari inquietanti. E non solo perché ai primi di dicembre il Tribunale del Riesame, pur non attenuando la misura cautelare per Cocco, aveva escluso la sussistenza dei reati di associazione di stampo mafioso e di associazione segreta.

Cella insalubre Per vederci chiaro su che cosa stesse succedendo, quattro giorni fa l’avvocata Rosaria Manconi è andata a verificare di persona lì a Palermo. E nel corso del colloquio con Tomaso Cocco è emerso che l’indagato è stato sistemato in una cella di pochi metri quadrati ubicata nel piano seminterrato della struttura penitenziaria. «Una cella – racconta – priva di luce diretta perché c’è soltanto una finestrella “a bocca di lupo”, ma anche umida, insalubre, senza riscaldamento e acqua calda. Tanto che il mio assistito non ha potuto lavarsi per diversi giorni, subendo un’ulteriore umiliazione e un trattamento degradante, soprattutto per un medico».

Quasi un 41 bis L’avvocata Manconi riferisce inoltre che a Cocco «non è consentito di usufruire dell’ora d’aria, di leggere, di cucinare, di fare esercizio fisico. «Un’attività indispensabile, quest’ultimo, per contrastare la patologia di cui soffre, aggravata dalle attuali condizioni e da una inadeguata somministrazione dei farmaci che gli necessitano». Tanto è vero, aggiunge Rosaria Manconi, che «nel corso degli accertamenti clinici di routine alcuni valori sono risultati alterati e sono emerse diverse problematiche che mettono a rischio la salute e la vita stessa del detenuto».

Condizioni degradanti Stando sempre al racconto del suo legale, «l’indagato è apparso visibilmente provato dalle condizioni degradanti e disumane in cui viene costretto e dalle modalità trattamentali dell’attuale carcere, dove vengono costantemente disattesi Regolamento penitenziario, principi costituzionali e pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. Una condizione tanto più grave e intollerabile – precisa – perché coinvolge direttamente l’esistenza di un incensurato ed assistito dalla presunzione di innocenza, del tutto estraneo all’ambiente carcerario».

Diritti negati Per l’avvocata Manconi, «un ulteriore rischio altissimo di cui qualcuno dovrà prima o poi farsi carico, deriva, oltre che da un regime detentivo indegno di una società civile, anche dalla criminalizzazione secondaria che il provvedimento assunto ha determinato, di fatto alimentando una condanna mediatica in grado di compromettere l’esito del futuro processo: il trasferimento del dottor Cocco nella struttura penitenziaria siciliana, destinata ad accogliere detenuti di elevato spessore criminale e pluri condannati per reati di mafia, induce a pericolose suggestioni e pulsioni populiste in grado di pregiudicare il legittimo diritto di difesa dell’indagato, compreso – conclude il legale – quello di poter incontrare i difensori ogni qualvolta sia necessario per svolgere attività di indagine preventiva».
 

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