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L’isola si svuota, piccoli comuni in crisi tra pochi servizi e giovani in fuga

L’isola si svuota, piccoli comuni in crisi tra pochi servizi e giovani in fuga

L’allarme nelle zone interne: le proposte dei candiati

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Sassari Nell’isola in cui è vuota una casa su tre, la maggior parte di porte chiuse e serrande abbassate si trova nelle zone interne. E sono quelle dei negozi di alimentari, ma anche delle farmacie, delle banche, degli uffici postali. Sono i portoni delle scuole che negli anni si sono dovute arrendere al calo degli iscritti, delle botteghe artigiane, culla di tradizioni che rischiano di scomparire per sempre, sono i cancelli degli ospedali. Le aree interne dell’isola sono sempre più vuote perché negli anni sono venuti a mancare due fattori fondamentali: il lavoro e i servizi. La conseguenza è che i più giovani vanno via, per cercare un impiego altrove e contemporaneamente trovare asili, scuole, assistenza sanitaria per sé e per la propria famiglia.

Secondo le ultime ricerche statistiche, 31 paesi scompariranno entro il 2050. Sono realtà molto piccole, spesso microscopiche, nelle quali non si riesce a trovare una soluzione per fare in modo che non spariscano dalle cartine geografiche. I piccoli centri nella Sardegna sono maggioranza assoluta, sono una infinità quelli con popolazione sotto i 3mila abitanti e nei 123 che ne hanno meno di 1000 risiedono 70 mila sardi. Ma questi comuni non sono tutti uguali: la loro posizione geografica, la vicinanza o lontananza dai centri urbani o dalle coste fa la differenza. Più sono lontani più manca tutto ciò che serve per garantire loro la sopravvivenza.

Un caso eclatante è quello della provincia di Nuoro, una delle 10 in cui entro il 2030 si dovrebbe registrare il maggior calo di bambini: oggi oltre l’85% dei bambini con meno di 2 anni vive in un comune periferico o ultraperiferico. Il grido d’aiuto è incessante, le comunità e gli amministratori chiedono un cambio di passo, una strategia intelligente – basata innanzitutto sulla garanzia del lavoro – per trattenere le persone, le coppie, incentivare la formazione di nuove famiglie. Non interventi a pioggia né sussidi, ma un piano a lungo termine, basato per esempio sulla valorizzazione delle risorse locali, del patrimonio culturale o enogastronomico, accompagnandolo con agevolazioni per chi investe, come incentivi e detassazione a chi accetta la sfida di provare a realizzare qualcosa di utile nei territori svantaggiati.

Proprio lo sviluppo in chiave turistica è considerato un’occasione ghiotta ma non ancora colta. È di qualche giorno fa l’appello dell’Uncem, l’Unione dei comuni montani, ai candidati governatori per la valorizzazione della montagna attraverso provvedimenti giudicati non più rinviabili. La situazione rischia di divenire irreversibile: ogni anno più di 3500 giovani dai 18 ai 24 anni lasciano l’isola e di questi quasi il 90% proviene dalle zone interne. E la maggior parte dei ragazzi che ancora non è andato via, fatica a trovare un lavoro. A loro chi governerà l’isola per i prossimi cinque anni, è chiamato a dare risposte. (si.sa.)

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