La Nuova Sardegna

L’emergenza

Sos lavoratori qualificati in Sardegna: pochi, anziani e non preparati

di Silvia Sanna
Sos lavoratori qualificati in Sardegna: pochi, anziani e non preparati

Aumenta il divario tra domanda e offerta: nel 2027 ci saranno 90mila posti scoperti. Le cause: competenze insufficienti nel digitale, nel green e nelle lingue straniere

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Sassari Pochi, avanti con gli anni e con formazione inadeguata rispetto alle richieste di un mercato del lavoro in continua evoluzione: le aziende chiedono conoscenze digitali, sensibilità verso le politiche green, competenze linguistiche ben più ampie del livello base in inglese. Dall’altra parte trovano candidati non più giovanissimi, con curriculum e preparazione mediamente fragili. Incrociare la domanda con l’offerta è sempre più complicato e il buco di organici scoperti in moltissime aziende si sta allargando sino a diventare una voragine.

La stima a livello nazionale dice che entro il 2027 l’Italia avrà bisogno di circa 4 milioni di lavoratori in settori chiave come il turismo, l’industria e i servizi. E a voler essere ottimisti, ne troverà appena la metà. In Sardegna la situazione è molto simile anche se meno drammatica (almeno per ora): entro il 2027 saranno circa 90mila le posizioni scoperte e in alcuni settori il mismatch oscillerà tra il 40 e il 50%. «Non è un vanto, significa infatti che nella nostra regione il mercato del lavoro è meno dinamico rispetto ad altre realtà più attive – dice Cristiano Ardau, segretario generale della Uil Tucs – Da noi le competenze green e linguistiche sono infatti richieste in misura minore, le aziende spesso si “accontentano”. Questo, se da una parte attenua leggermente le distanze tra domanda e offerta, dall’altra rende i sardi meno competitivi perché la qualità dei servizi non è al livello di chi cammina più veloce».

Il gap Il problema non riguarda più soltanto le mansioni di medio e alto livello: anche in quelle più basse è richiesto un bagaglio di competenze sino a prima impensabile. «Le aziende hanno un approccio diverso, sono più attente al digitale, al risparmio energetico, alla promozione globale. Per questo a tutti i livelli la manodopera deve essere qualificata – dice Ardau –. Un cambiamento epocale che vede il nostro Paese in clamoroso ritardo, con politiche del lavoro arretrate e formazione inadeguata soprattutto in determinati ambiti. Si continua a ragionare in maniera “antica” in un mondo sempre più “moderno”, con un mercato del lavoro che ha esigenze diverse ogni sei mesi. Il problema è strutturale, non si risolve da un giorno all’altro. Ma è necessario avviare ragionamenti seri».

I settori in crisi Commercio, turismo, industria, servizi. Le richieste si moltiplicano, la risposta è insufficiente e o inadeguata. E a questo si aggiunge anche un altro problema, quello delle retribuzioni basse. «Le condizioni di lavoro disagiate portano a preferire settori ad altri. L’addetto del turismo con busta paga da 1200 euro, a parità di compenso non esita ad accettare un impiego nell’industria, dove in più avrà contratto per 12 mesi e turni migliori con week end liberi». Ma il grido d’allarme arriva anche dal mondo artigiano: le piccole e medie imprese isolane nel 2023 non sono riuscite a trovare il 42% della manodopera necessaria, per un totale di 64170 posti rimasti scoperti.

Sos artigianato Il numero di addetti che mancano all’appello ha raggiunto quota 8mila e a fronte di questo numero incredibilmente alto, si scopre che il 21,4% dei giovani è inattivo. Una situazione che, in soldoni, ha generato un danno economico quantificato in 206 milioni di euro. A dirlo sono Fabio Mereu e Daniele Serra, presidente e segretario di Confartigianato imprese Sardegna. «Non si trovano lavoratori qualificati. la scarsità di personale con le giuste competenze è considerato il problema più grave dalle imprese sarde, molto di più rispetto alle difficoltà legate alla burocrazia, all’accesso al credito e alla concorrenza sleale. Le scarse competenze frenano infatti la transizione ecologica e digitale, rappresentano quindi un grosso ostacolo per lo sviluppo e la competitività delle aziende nel mercato». C’è tanto da fare, se si considera che una parte dei candidati presi in esame (il 12%) non ha neppure una preparazione scolastica sufficiente.

«E poi ci sono i giovani inattivi – dicono Mereu e Serra – il 21,4% dei ragazzi tra i 14 e i 29 anni, che non studiano e non sono disponibili a lavorare, per motivi familiari, per scoraggiamento nella ricerca di un impiego, per ritardo negli studi». Con la platea che si riduce sempre di più per via dell’invecchiamento della popolazione, gli scenari si annunciano cupi. L’unica via per uscirne è la formazione: «Bisogna partire dalla scuola, che deve insegnare la cultura del lavoro mischiando sapere e saper fare, preparare i ragazzi ad affrontare un mondo in veloce evoluzione».

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