La Nuova Sardegna

Rombo di tuono

«Vi racconto mio padre Gigi Riva, per tutti era un mito, per noi il nostro papà speciale» – Intervista esclusiva con il figlio Nicola

di Enrico Gaviano
«Vi racconto mio padre Gigi Riva, per tutti era un mito, per noi il nostro papà speciale» – Intervista esclusiva con il figlio Nicola

«Da bambino mi è mancato, da adulto me lo sono goduto»

05 aprile 2024
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Avere un padre come Gigi Riva non è stato facile. Un gigante, un’icona, una leggenda. Da condividere con tutti i sardi e non solo. Nicola Riva, 48 anni a luglio, è uno dei figli del grande “Rombo di tuono”. L’altro è Mauro, due anni più giovane, avuti con la compagna Gianna Tofanari. Da tempo Nicola è diventato il rappresentante ufficiale del papà, gira l’Italia per ritirare premi e riconoscimenti, presenzia a iniziative in cui Gigi Riva è sempre protagonista.

«Quasi un secondo lavoro – dice lui con un sorriso –. Ora poi, dopo la scomparsa di papà, gli impegni si sono triplicati. Non è stato facile. Ho dovuto reinventarmi, forzare un po’ il mio carattere».

Da quando è iniziata questa attività che si sovrappone a quella ufficiale all’aeroporto di Elmas?
«Più o meno dal 2017, quando papà decise di ritirarsi a casa e chiudere con qualsiasi attività esterna. Gli inviti arrivavano e pensavo che uno di noi doveva esserci. Detto che Mauro non aveva alcuna intenzione, ho deciso di sostituire io mio padre. Sarebbe stato scortese non rispondere, quasi non ci importasse dei riconoscimenti che venivano dati all’uomo e al calciatore».

Ma prima di andare a una premiazione arrivavano dei consigli da papà?
«Lui mi diceva semplicemente di parlare con il cuore, di dire quello che sentivo. Ha sempre funzionato, perché poi quando gli raccontavo come era andata mi guardava e sorrideva, aggiungendo un complimento. Ora mi manca tanto questo, potermi confrontare con lui prima di una cerimonia e poi potergli dire come è andata».

In chiesa a Bonaria, al termine del rito funebre, ha fatto un discorso che ha commosso la grande folla presente sul sagrato.
«Sono stato sempre consapevole, sin da piccolo, che avrei dovuto condividere mio padre con tante persone che gli volevano bene, forse quanto me. La conferma di cosa rappresentasse l’ho avuta dalle persone che sono andate a salutarlo nella camera ardente allo stadio e ai funerali. Gente che piangeva, che lo accarezzava, lo ringraziava. La sua scelta di restare in Sardegna, di rifiutare tutte le offerte delle grandi squadre è stata troppo forte per non lasciare il segno. Per questo ai funerali ho parlato della scomparsa di un parente di tutti, non solo di un padre e di un nonno».

Sarà stato difficile però avere, da bambino, la consapevolezza di dover condividere il proprio padre con tante altre persone.
«Per lungo tempo mi è mancata la figura del papà. Lui aveva e amava la sua indipendenza. Era un lupo solitario. Potevo stargli un po’ più accanto quando d’estate passavamo giornate intere nella casa di S’oru e’ mari . E si sbottonava comunque poco».

Sicuramente è capitato di andare insieme a Leggiuno.
«Sì, soprattutto quando eravamo ragazzini. Erano momenti belli. Stavamo nella sua casa, quella in cui era nato. Davanti c’era l’oratorio dove aveva iniziato a dare i primi calci al pallone. Poi c’era il lago, lì dove da bambino faceva i bagni e dove pescava. È stato come accendere la luce su una parte felice della sua infanzia».

Un’infanzia difficile però.
«Quella è la parte della vita di papà che più mi affascina. Il suo carattere è stato forgiato in quegli anni terribili. Prima la morte del padre, la malattia delle sorelle, i 5 anni in collegio, e poi la morte dell’adorata mamma Edis, proprio quando firmò il primo contratto vero con il Legnano. L’anno prima aveva guadagnato qualcosa al Laveno Mombello e utilizzò parte del denaro per regalare una tv alla mamma. A Leggiuno non l’aveva ancora nessun altro».

Da poco è stato pubblicato sui social il servizio del Guerin sportivo dedicato a suo padre nella scuola calcio Gigi Riva insieme a lei e a Mauro. Titolo: Rombi di tuono. Ricorda quella giornata?
«Di sicuro. Una giornata bella perché eravamo al suo fianco. Ma credetemi, sia per me che per Mauro è stato durissimo il periodo in cui abbiamo provato a fare i calciatori. Il confronto era sempre lì dietro l’angolo. Io poi sono pure mancino… E papà non poteva mai assistere alle partite, dunque da lui nessun consiglio. Quello certamente è mancato, come pure condividere più a fondo la quotidianità».

Poi però è cambiato tutto. Ricorda quando?
«Più o meno quando gli fu assegnato nel 2017 il collare d’oro del Coni. Decise di chiudersi a casa, qui, di stare tranquillo. Circondato dall’affetto della famiglia, con i suoi amici, e il telefono a cui non ha mai smesso di rispondere. Egoisticamente dico che è stato il momento più bello per me. Finalmente ce l’avevamo tutto per noi. Potevamo vederlo tutti i giorni, parlarci, confrontarci».

E c’è stata una riscoperta di Gigi Riva papà.
«Sin da bambino mi sarebbe piaciuto fargli tante domande. Ma o non ci riuscivo o magari era lui a non rispondere. Invece nell’ultimo periodo della sua vita mi sono fatto una grande cultura sul suo passato, sulla sua vita da giovane. Una storia bella, emozionante. Tanto che ho pensato anche di scrivere un libro, o almeno sogno di farlo. La vita di papà da 0 a 19 anni, sino all’arrivo a Cagliari. Come è nato e cresciuto l’uomo e il campione che poi ha cambiato la storia della squadra rossoblù e anche del calcio italiano. In effetti lui ha messo il mare fra Leggiuno e la sua nuova vita, quasi a lasciarlo come un lontano ricordo, che però non lo ha mai abbandonato».

Alla premiazione per il collare d’oro allo stadio, suo padre al microfono ha parlato ai tifosi con un pizzico di ironia delle sue nipotine.
«È vero, ha detto al pubblico che aveva 5 nipotine e che non ci sarebbe stato un Riva maschio nella discendenza. Per la verità lui l’avrebbe voluto un maschietto. Ma non è arrivato e si è messo il cuore in pace. È stato un nonno fantastico che ha legato molto con le mie tre figlie e le due di Mauro. In particolare con la mia Virginia, che è stata la prima. Ricordo che avevamo una casa piccola e che lui la riempiva di regali per lei».

Che diceva del vostro lavoro?
«Sia io che Mauro abbiamo seguito la nostra strada, senza alcun aiuto da parte sua. Non gli sarebbe piaciuto imporsi in qualche modo. Ma il giorno che un mio superiore lo fermò dicendo che io ero molto bravo al lavoro, fu molto orgoglioso di questo».

Il suo ultimo periodo in casa è servito anche a rinsaldare il nucleo familiare?
«Sì, proprio così. Mamma era presente tutti i giorni. Quello fra loro è stato un amore di quelli che durano per sempre, al di là dei momenti in cui hanno vissuto vite separate. Per papà è stato molto importante averci tutti insieme. Non vedeva l’ora di riunirci e in quei momenti era davvero molto felice».

Suo padre ha accettato di fare il film di Milani, come è andata?
«Riccardo ha prima incontrato noi, e ci ha spiegato il progetto. Poi io e Mauro ne abbiamo parlato con papà. Dicendogli che sarebbe rimasto a casa e che tutto si sarebbe svolto lì, nella sua comfort-zone. Alla fine ha accettato. È da lì è nata una fantastica amicizia. Riccardo Milani e Paola Cortellesi sono diventati due di famiglia».

Ma durante la proiezione del film era un po’ preoccupato, giusto?
«Si rilassava quando sullo schermo parlavano gli altri o si vedevano le immagini della Sardegna. Quando il protagonista era lui allora si irrigidiva e mi chiedeva: “ Ma tutta questa gente non si starà annoiando?” Se vogliamo descrivere il carattere di Gigi Riva, di mio padre, questo sarebbe il miglior modo».

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