La Nuova Sardegna

L’intervista

L’isola delle specie botaniche a rischio: «Unica regione in Italia senza una legge»

di Massimo Sechi
L’isola delle specie botaniche a rischio: «Unica regione in Italia senza una legge»

Gianluigi Bacchetta: «Abbiamo un patrimonio unico che andrebbe tutelato»

02 settembre 2024
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Sassari La Sardegna è l’unica regione italiana a non avere una legge per la tutela, la conservazione e la protezione della flora sarda. Da oltre 50 anni la Società botanica italiana (Sbi) sollecita un disegno di legge e dalla collaborazione tra i due atenei di Sassari e di Cagliari, insieme ad Anci Sardegna, è nata una proposta, prima firmataria la consigliera di Avs Maria Laura Orrù, che è già all’ordine del giorno della commissione regionale Ambiente. Gianluigi Bacchetta è il direttore del Centro di Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari, Emanuele Farris è il presidente della sezione sarda della Società Botanica Italiana, insieme al presidente dell’Istituto sardo di scienze, Lettere e Arti (Issla), Ignazio Camarda hanno collaborato attivamente alla stesura della proposta di legge. Una collaborazione ereditata da 50 anni di attività della sezione sarda della Società botanica italiana, nella quale si ricorda il ruolo fondamentale della docente Franca Valsecchi. «In Sardegna abbiamo circa 2500 specie autoctone e di queste 345 sono endemiche della nostra Isola – afferma Gianluigi Bacchetta – senza una legge questo patrimonio unico rischia di perdersi».

Qualche esempio?

«Il Ribes sardoum è un arbusto endemico che si trova solo sul Supramonte di Oliena nella località di Prados. Non esiste in altro luogo al mondo. Ne rimangono circa 70/80 esemplari, senza una norma che li tuteli a breve rischia di andare perduto. Un altro esempio: un’orchidea sarda, una delle oltre 60 presenti e la Dactylorrhiza sesquipidalis, si trova solo a Osini, sopra la scala di San Giorgio, e se ne stimano solo 2/3 esemplari. Purtroppo, nel tempo le persone hanno sempre raccolto le sue infiorescenze e oggi la specie è sull’orlo dell’estinzione».

Perché rischiano l’estinzione?

«Le cause antropiche sono dominanti: urbanizzazioni, inquinamento, aperture di strade ma anche la raccolta indiscriminata. E poi sicuramente anche per cause naturali legate ai cambiamenti climatici, all’aumento delle temperature, alla siccità e anche ad alluvioni, piogge molto intense, fenomeni di erosione. Ma sulle cause naturali possiamo fare ben poco, se non cercare di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici».

Come è regolamentata ad oggi la flora dal punto di vista normativo?

«C’è la direttiva europea Habitat che risale al 1992, però in Sardegna tutela solo 21 specie delle 2500 presenti nell’isola. Non esiste una legge nazionale in materia di protezione della flora perché la materia ambientale è stata delegata alle regioni. Solo la Sardegna in Italia non ha una legge regionale».

A chi non piace una norma che tutela le nostre biodiversità?

«Dovrebbe piacere a tutti perché non nuoce interessi commerciali o, come avviene per la fauna, interessi del mondo venatorio. Porta benefici indiscutibili alla Sardegna perché far conoscere le nostre specie vegetali autoctone ai turisti, è un ulteriore valore aggiunto per chi viene nella nostra isola. E poi intervenire con una legge è fondamentale per tutelare e trasmettere questo patrimonio alle generazioni future».

Rimaniamo in tema ambientale ma parlando di foreste, c’è stato un tavolo tecnico per parlare delle azioni per contrastare la moria di alberi.

«Noi non siamo stati invitati. Va bene il monitoraggio per avere un quadro della situazione. Sugli interventi vedo che si continua ad insistere sui patogeni (es. funghi e batteri), ma non sono loro la causa, sono semplicemente l’effetto della perdurante aridità che si protrae da quasi due anni in diverse zone della Sardegna. Così come il Covid attaccava più facilmente le categorie più deboli i patogeni attaccano più le piante indebolite dall’aridità. Il problema centrale rimane il cambiamento climatico e in particolare il riscaldamento globale e la modifica dei regimi pluviometrici. Bisogna capire che tali modificazioni possono portare a fenomeni estremi come quelli che stiamo vedendo in diverse aree della Sardegna orientale e non solo».

Cosa si può fare?

«Come dicevo prima per la flora: mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, fare in modo che nei cittadini ci sia la consapevolezza dei problemi ambientali, cambiare i comportamenti. Io indico sempre quattro cose che sono esemplificative: se ognuno di noi andasse a piedi o in bicicletta a lavoro, se ognuno di noi piantasse almeno un albero all’anno, se ognuno di noi riducesse il tempo che utilizza per fare la doccia, se ognuno di noi anziché comprare prodotti imballati che arrivano da chissà dove acquistasse solo prodotti della nostra terra. Se tutti facessimo queste semplici cose, si ridurrebbero le emissioni di anidride carbonica, si aumenterebbe la capacità di assorbire quella CO2, eviteremmo moltissimi sprechi idrici, si risparmierebbe in termini energetici e si aiuterebbe l’economia locale».

Tutti gli altri interventi?

«In Sardegna intanto è fondamentale, sempre per l’impatto della CO2, conservare le praterie di posidonia, la nostra macchia mediterranea, tutelare la terra e il mare. Non solo i boschi hanno la capacità di accumulare CO2. Le altre azioni rischiano di essere una spesa inutile, come è stato inutile spendere tanti soldi per la peste suina africana. Il problema è che noi affrontiamo sempre i problemi in maniera reattiva e andiamo a cercare di porre rimedio, senza fare prevenzione, mettendo delle pezze quando ci troviamo di fronte a fenomeni come le alluvioni, o la siccità e il disseccamento delle nostre foreste. E invece il primo cambiamento è proprio quello che dobbiamo avere tutti noi, a partire da una maggiore consapevolezza, nei comportamenti, dell’importanza dei temi ambientali».

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