La Nuova Sardegna

Intervista esclusiva

Eric Cantona, bisnonno di Ozieri, bisnonna di Torralba: «Mi sento sardo»

di Andrea Sini

	Eric Cantona con Gianfranco Zola 
Eric Cantona con Gianfranco Zola 

L’ex stella della Premier League si racconta: «Zola una leggenda. Il calcio? Oggi non mi interessa molto»

09 settembre 2024
5 MINUTI DI LETTURA





Porto Rotondo «I tifosi del Manchester United mi chiamavano “Le roi”, è vero. Cosa penso? Che me lo sono meritato». Eric Cantona parte subito con le marce alte. Camicia azzurra, pantaloni rossi, sneakers ai piedi, gran fisico a dispetto dei suoi 58 anni.

“Il re” della Premier League di trent’anni fa è ancora un personaggio dotato di straordinario carisma. Calciatore straordinario, ha smesso ad appena 31 anni ed è stato capace di reinventarsi come attore, cantante, ma anche attivista. Di lui, a primo impatto, colpisce l’estrema calma dei gesti e delle parole: non gesticola, non alza la voce, non si infervora mentre parla, sorride poco ma in maniera contagiosa ed è estremamente cortese.

Sabato sera, 7 settembre, a Porto Rotondo ha ritirato dalle mani di Gianfranco Zola il prestigioso Premio Navicella Sardegna, che la giuria presieduta da Franco Cuccureddu gli ha assegnato facendo leva sulle sue lontane origini sarde. Innanzitutto chiariamo la storia della sua famiglia, perché in Sardegna ci sono almeno 3-4 paesi che se la contendono.

«Mio bisnonno Salvatore Cantona era di Ozieri. Mia bisnonna, Giuseppina Caria, era di Torralba».

Lei ovviamente non li ha conosciuti. Cosa sa di loro?

«Negli anni ho ricostruito la loro storia. Sono emigrati dalla Sardegna nel 1913, lei era già incinta quando è salita sul piroscafo diretto a Marsiglia. Lì è nato mio nonno e lì sono nato e cresciuto anche io. E da lì viene quell’uno o forse due per cento di sangue francese che ho».

In che senso?

«Le mie origini sono sarde e catalane, perché dalla parte di mia madre provenivano proprio dalla Catalogna, si erano spostati a Marsiglia durante la guerra civile. Poi ho anche un po’ di sangue piemontese. Se il mio carattere è questo, è proprio grazie alle mie origini. Ora che ne so di più e che vengo spesso qua, riconosco chiaramente alcuni tratti del mio modo di essere nella vostra gente».

Quando ha iniziato a interessarsi alla Sardegna e ai suoi avi sardi?

«Da molto. Poi 7-8 anni fa mio fratello ha comprato una casa qua e da allora è più facile avere l’occasione di venire».

Nei giorni scorsi è stato avvistato nel Montiferru.

«Sì, andiamo proprio da quelle parti».

Cosa le piace della nostra isola?

«Il fatto di avere radici qua, per prima cosa. Poi è un posto magnifico, e mi piace la gente, è molto tosta».

Come lei?

«Qualche volta lo sono, altre volte no. Come tutti».

È stato premiato tra le eccellenze sarde.

«Mi fa molto piacere, e mi emoziona il fatto che ci fosse davanti mio padre, che ha 84 anni e ha conosciuto i miei bisnonni sardi».

Gianfranco Zola, che anagraficamente è più giovane di lei di appena un mese e mezzo, ha detto che le poche volte in cui vi siete affrontati per lui è stato un incubo.

«Ricordo bene quelle sfide tra Manchester United e Chelsea. Al tempo non ci conoscevamo ma ci siamo sempre rispettati. Però io ero già nella fase finale della mia carriera, lui era appena arrivato. È stato una leggenda, era un giocatore fantastico, uno di quei geni che raramente si trovano sul campo. Uno di quei giocatori per i quali un bambino si innamora del calcio».

Cantona quando si è innamorato del calcio?

«Vedendo la nazionale olandese e l’Ajax di Cruyff. Avevo 8 anni e fu fantastico, una rivelazione».

Lei ha smesso di giocare molto presto. Come mai?

«Per giocare a certi livelli ed essere all’altezza del tuo ruolo devi avere dentro un fuoco che arde. Io non ce l’avevo più. Ma mi ero già ritirato una volta a 24 anni, poi Platini mi convinse a continuare».

Oggi guarda il calcio?

«No, non mi interessa molto. Diciamo che ho tanti altri interessi. Ma se c’è un giocatore che mi piace, guardo volentieri una partita. A volte guardo la Spagna, mi piace Rodrigo».

Tra i suoi interessi ci sono il cinema, con trenta film tra ruoli di attore e regia, e ultimamente la musica.

«Diciamo che ci provo. Nel cinema ho avuto la fortuna di lavorare con grandi personaggi del calibro di Ken Loach. Nel suo caso il livello artistico coincide con lo spessore umano. Con la musica mi sono “preso” molto durante il Covid. Mi diverte».

Ultime domande. Il calcio volante al tifoso del Crystal Palace che la insultava è passato alla storia.

«Sì, però sul campo ho fatto anche qualche gol, non dimentichiamolo...».

Però quel gesto è rimasto nell’immaginario collettivo come qualcosa di rivoluzionario.

«Bene, allora diciamo che è stato poco, avrei dovuto tirargliene un altro».

Il colletto alzato?

«Una cosa scaramantica, che poi è diventata un segno distintivo. Ci sono affezionato».

Quando i tifosi dei Reds le intonavano il coro chiamandola “le roi” cosa provava?

“Pensavo che fosse meritato (sorride, ndr). Ma a lei serve una risposta seria, vero?».

Questa non era male.

«Dico che era una grande emozione, qualcosa che mi porto dentro ancora oggi».

Primo piano
La tragedia

Ecco chi era il 36enne morto in un incidente stradale a Olbia

Le nostre iniziative